La lettera alla chiesa di Efeso

 

LA CHIESA DELLA SANA DOTTRINA

 

«All'angelo della chiesa di Efeso scrivi:

Queste cose dice Colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d'oro: "Io conosco le tue opere, la tua fatica, la tua costanza; so che non puoi sopportare i malvagi e hai messo alla prova quelli che si chiamano apostoli ma non lo sono e che li hai trovati bugiardi. So che hai costanza, hai sopportato molte cose per amor del mio nome e non ti sei stancato.

Ma ho questo contro di te: che hai abbandonato il tuo primo amore.

Ricorda dunque da dove sei caduto, ravvediti, e compi le opere di prima; altrimenti verrò presto da te e rimoverò il tuo candelabro dal suo posto, se non ti ravvedi.

Tuttavia hai questo, che detesti le opere dei Nicolaiti, che anch'io detesto.

Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese.

A chi vince io darò da mangiare dell'albero della vita, che è nel paradiso di Dio".

Apocalisse 2:1-7

 

Prima di studiare la lettera inviata alla chiesa di Efeso nel 95 d.C., è utile conoscere le origini della chiesa di Efeso che troviamo in Atti 18-19 e 20,le rivelazioni ricevute nella lettera di Paolo del 62 d.C. circa, così potremmo meglio comprendere quanto riportato in questa lettera.

Efeso, di cui oggi non resta nulla salvo il sito occupato dalle capanne del villaggio di Aiosoluk, era allora la capitale della provincia senatoriale romana dell’Asia proconsolare.

Era una importante città commerciale ed era celebre per il culto di Diana (il cui tempio era una delle sette meraviglie del mondo antico) e anche per lo sviluppo delle arti magiche.

Paolo vi fondò la chiesa cristiana rimanendovi almeno tre anni e lasciandovi una comunità prospera guidata da un collegio di anziani ai quali rivolse, a Mileto, il discorso riportato in atti 20.

 

All'angelo della chiesa di Efeso scrivi:

Queste cose dice Colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d'oro: "Io conosco le tue opere, la tua fatica, la tua costanza; so che non puoi sopportare i malvagi e hai messo alla prova quelli che si chiamano apostoli ma non lo sono e che li hai trovati bugiardi. So che hai costanza, hai sopportato molte cose per amor del mio nome e non ti sei stancato.

Gesù Cristo si presenta come Colui che tiene nella Sua mano i “messaggeri” delle chiese, che li manda, li protegge, li sostiene, li premia ed anche li riprende, li toglie, li corregge.

Egli è il Vivente, il Supremo Pastore e Vescovo delle chiese, sempre attivo nel sovrintendere a tutta la loro vita esterna ed interna, nell’incoraggiare, nel riprendere, nel consigliare e nel sostenere.

Cristo non è lontano dalle chiese, Egli cammina in mezzo a loro e conosce profondamente lo stato di ciascuna chiesa, più di quanto essa stessa si conosce.

Davanti al Suo sguardo non ci sono zone d’ombra, ci sono altri sei candelabri che garantiscono luce piena e vi sono le fiamme che partono dai suoi occhi, nulla è nascosto al Suo sguardo!

Io conosco”, questa dichiarazione che traduce in parole il senso del simbolo degli occhi simili ad una fiamma di fuoco, è ripetuta letteralmente, o in termini equivalenti, al principio di ognuna delle lettere.

Il concetto di “opere”, riferito alla chiesa, racchiude il risultato della fede operante degli appartenenti, sarebbe insensato parlare della “fede” della chiesa; la fede è del singolo e si traduce in “opere”.

In tutta la Parola di Dio non abbiamo un esempio di fede fine a se stessa che non si traduce in “fede operante”.

E’ sicuramente vero che nessuno sarà salvato per le opere, ma senza le opere siamo sicuri di essere salvati?

Ovvero senza una vera fede che si traduce in un diverso modo di vivere, che si concretizza in opere che dimostrano la fede, siamo sicuri di avere la fede autentica?

Oltre alle opere, Cristo riconosce “la fatica”.

Un vero cristiano si “affatica” nel campo spirituale, oggi più che mai si estremizza un concetto di “grazia” che non si traduce in “impegno”, “fatica”, “responsabilità”, pensando di minare il concetto stesso di “Grazia”.

Paolo loda i tessalonicesi per la “fatica del loro amore ( 1° Tessalonicesi 1:3 ), ed ai corinzi ricorda che “la loro fatica non è vana nel Signore” ( 1 Corinzi 15:58 ).

Paolo ci parla ancora del premio che seguirà la fatica: “Ora, colui che pianta e colui che annaffia sono una medesima cosa, ma ciascuno riceverà il proprio premio secondo la propria fatica( 1 Corinzi 3:8 )

Ci sono sforzi da fare, difficoltà da vincere; ma ci sono pure avversioni, calunnie, inimicizie, persecuzioni da sopportare pazientemente.

Pietro parla di “impegno” totale: “Voi, per questa stessa ragione, mettendoci da parte vostra ogni impegno, aggiungete alla vostra fede la virtù; alla virtù la conoscenza… “ ( 2 Pietro 1:5 )

 

Un’altra bella caratteristica della chiesa di Efeso, è la costanza”.

La costanza è la perseveranza nel sopportare senza stancarsi.

Molte volte il servizio è caratterizzato dalle lamentele, senza nessuna costanza, si inizia con entusiasmo ma presto si ritorna a trascinarsi dietro lamentele continue.

Ciò che rende costante il lavoratore è la retribuzione che riceverà per il suo lavoro, se noi non crediamo che un giorno mieteremo, saremo sicuramente scoraggiati nel nostro seminare.

Non vi ingannate; non ci si può beffare di Dio; perché quello che l'uomo avrà seminato, quello pure mieterà.

Perché chi semina per la sua carne, mieterà corruzione dalla carne; ma chi semina per lo Spirito mieterà dallo Spirito vita eterna.

Non ci scoraggiamo di fare il bene; perché, se non ci stanchiamo, mieteremo a suo tempo.

(Galati 6:7-9)

 

Un altro motivo di lode di Cristo rivolto al messaggero della chiesa di Efeso è la dote di non sopportare i malvagi”.

Oggi, nel pensiero relativista moderno,  un tale pensiero è deprecabile, nel nome dell’amore e della tolleranza siamo tutti caldamente invitati a sopportare tutto, anzi condividerlo.

Il Signore ritiene invece un motivo di lode per i suoi discepoli il “non sopportare i malvagi”.

Abacuc dichiara che “Dio ha gli occhi troppo puri per sopportare la vista del male” ( Abacuc 1:13 ), questa purezza, deve essere anche una caratteristica dei Suoi discepoli.

La chiesa di Efeso, non è stata una chiesa indifferente di fronte al male che ha cercato di penetrare in essa.  Vi è stata in lei una sana intolleranza verso i malvagi che compromettevano il buon nome della chiesa di fronte ai pagani e inquinavano la sua stessa vita, li ha notati, li ha ripresi e, se ostinati, li ha espulsi dal suo seno.

L’insegnamento di Paolo era d’altronde coerente:

Vi ho scritto nella mia lettera di non mischiarvi con i fornicatori; non del tutto però con i fornicatori di questo mondo, o con gli avari e i ladri, o con gl'idolatri; perché altrimenti dovreste uscire dal mondo; ma quel che vi ho scritto è di non mischiarvi con chi, chiamandosi fratello, sia un fornicatore, un avaro, un idolatra, un oltraggiatore, un ubriacone, un ladro; con quelli non dovete neppure mangiare. Poiché, devo forse giudicare quelli di fuori? Non giudicate voi quelli di dentro?  

Quelli di fuori li giudicherà Dio. Togliete il malvagio di mezzo a voi stessi.

( 1 Corinzi 5:9-13 ).

Abbiamo un esempio emblematico di sana intolleranza verso i falsi fratelli in atti 5:1-11 (Anania e Saffira) ed un altro verso un caso di esplicita immoralità in 1 Corinzi 5:1-5 ( lo scandalo di Corinto ). Ai “buonisti” bisognerebbe chiedere dove sia la “grazia” di Dio in questi casi, ma la Grazia di Dio si manifesta proprio in questo, Egli vuole mantenere uno stato di purezza all’interno della Sua Chiesa.

In apocalisse 21:27 vi è scritto che nella nuova Gerusalemme “nulla di impuro vi entrerà”, a che titolo quindi Dio dovrebbe tollerare il male nella Sua Chiesa?

“ Che diremo dunque? Rimarremo forse nel peccato affinchè la grazia abbondi? NO DI CERTO! Noi che siamo morti al peccato, come vivremo ancora in esso? ” ( Romani 6:1-2 )

Il concetto di “vivere in esso”, non significa “cadere, sporcarsi”, ma “nutrirsi, compiacersi, non provare alcun imbarazzo” davanti al male.

 

Mettere alla prova gli apostoli,

Come si sono permessi? Si direbbe oggi!

Eppure solo attraverso il “mettere alla prova” si può scoprire se si ha davanti un vero o un falso, non siamo chiamati a “credere ogni cosa”, evidentemente questo concetto deriva da un’errata interpretazione di una caratteristica dell’Amore ( cfr 1 Corinzi 13 ), il credere ogni cosa che ci dice Dio, mette automaticamente il mettere alla prova coloro che dicono di parlare da parte di Dio.

Giovanni, nella Sua prima lettera esorta dicendo: Carissimi, non crediate a ogni spirito, ma provate gli spiriti per sapere se sono da Dio; perché molti falsi profeti sono sorti nel mondo. (1 Giovanni 4:1)

Oggi viviamo in un tempo in cui i credenti sembra abbiano dimenticato questa importante esortazione, esiste una sorta di ingenuità secondo cui si crede a qualsiasi insegnamento venga promosso, senza vagliarlo alla luce della parola di Dio, ecco perché prolificano movimenti di tutti i generi, anche all’interno della cosiddetta chiesa del Signore.

La Parola di Dio è l’unica Fonte autorevole su cui noi possiamo basarci.

Tutte le lettere degli apostoli, portano dei seri avvertimenti contro i falsi dottori ed i falsi profeti, sembrava fosse proprio la loro più forte ossessione… …forse ne avevano degli ottimi motivi!

Quanto oggi noi siamo attenti ai falsi dottori?

 

Ma ho questo contro di te: che hai abbandonato il tuo primo amore.

 La chiesa di Efeso ha conservato la sua purezza morale e dottrinale, ha dimostrato costanza nelle prove e attività instancabile, ma lo sguardo infuocato del Signore penetra oltre il visibile, fino alla fonte stessa della vita, al cuore; e il cuore non ha più i palpiti di una volta, il fervore di prima; l’amore per Dio e per i fratelli ( di conseguenza ) si è affievolito, magari anche in seguito alle tante prove, e quando il cuore si fa debole, la vita intera ne è gravemente minacciata.

Con il concetto di “primo amore” si intende il fervore che la chiesa di efeso aveva all’inizio della sua vita, quell’esuberanza che aveva portato i neoconvertiti dalle arti magiche a bruciare in piazza davanti a tutti, i libri che fino allora avevano influenzato la loro vita ( Atti 19:18-20 ).

Paolo, circa quarant’anni prima, aveva lodato gli efesini per il loro amore ( agapen ) ( Efesini 1:15-16 ), ora questo amore si è affievolito!

Il fatto tangibile di una chiesa solida dal punto di vista dottrinale e morale sia rimproverata da Cristo per la sua perdita del primo amore, ci fa riflettere quanto l’amore per Dio non si origina nella legalistica osservanza dei precetti, ma come risposta a quanto si conosce e comprende dell’amore di Dio.

 

Ricorda dunque da dove sei caduto, ravvediti, e compi le opere di prima; altrimenti verrò presto da te e rimoverò il tuo candelabro dal suo posto, se non ti ravvedi.

Cristo indica tre mosse da seguire per recuperare e non subire la “rimozione del candelabro”:

-                     Ricordati da dove sei caduto;

-                     Ravvediti;

-                     Compi le opere di prima.

 

Ricordati da dove sei caduto.

Già nel Vecchio Testamento, abbiamo moltissimi esempi, salmi, racconti, che più volte ricordano al popolo di Dio i prodigi dell’Eterno.

Il “ricordare” il nostro stato di peccato e la meraviglia dell’intervento di Dio nella nostra vita, il Suo sacrificio sono il primo passo verso una posizione giusta davanti a Dio.

Non a caso Gesù ci ha lasciato il simbolo della “Santa Cena” quale atto commemorativo che ci ricorda ogni volta il sacrificio di Cristo per noi.

E’ quindi buona cosa ricordare, con ogni mezzo, la nostra posizione in Cristo, il nostro impegno per lui, come degli sposi, che di tanto in tanto riscoprono nuovo vigore nel ricordare l’amore vibrante dei primi tempi e ne rivivono gli effetti benefici nel tempo.

 

Ricordati da dove sei caduto.

Riconoscere di cadere è una prerogativa del cristiano.

Giovanni scriveva:

Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che vi annunziamo: Dio è luce, e in lui non ci sono tenebre.

Se diciamo che abbiamo comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, noi mentiamo e non mettiamo in pratica la verità.

Ma se camminiamo nella luce, com'egli è nella luce, abbiamo comunione l'uno con l'altro, e il sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato.

Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi, e la verità non è in noi.

Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità.

Se diciamo di non aver peccato, lo facciamo bugiardo, e la sua parola non è in noi.

( 1 Giovanni 1:5-10 )

Dio non ci chiede di essere “perfetti” con la nostra carne, ci chiede di essere “irreprensibili”.

Vero è che nel discorso sulla montagna Gesù disse:

Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste. ( Matteo 5:48 )

Ma lo scopo primario del sermone sulla montagna era il riconoscere che con la propria giustizia non si può arrivare a Dio: “io vi dico che se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei, non entrerete affatto nel regno dei cieli.” ( Matteo 5:20 )

La legge, infatti, possiede solo un'ombra dei beni futuri, non la realtà stessa delle cose. Perciò con quei sacrifici, che sono offerti continuamente, anno dopo anno, essa non può rendere perfetti coloro che si avvicinano a Dio.

(Ebrei 10:1)

La perfezione la raggiungeremo alla fine del nostro cammino spirituale, passando attraverso la prova della nostra fede che produrrà in noi proprio quella costanza di cui si parla qui:

Fratelli miei, considerate una grande gioia quando venite a trovarvi in prove svariate, sapendo che la prova della vostra fede produce costanza.

E la costanza compia pienamente l'opera sua in voi, perché siate perfetti e completi, di nulla mancanti.    (Giacomo 1:2-4)

Dio però chiede a tutti, ed in modo particolare a coloro che sono maturi e responsabili, di essere “irreprensibili”:

In lui ci ha eletti prima della creazione del mondo perché fossimo santi e irreprensibili dinanzi a lui…   (Efesini 1:4)

…perché siate irreprensibili e integri, figli di Dio senza biasimo in mezzo a una generazione storta e perversa, nella quale risplendete come astri nel mondo…  (Filippesi 2:15)

Giovanni dirà più avanti, in riferimento agli eletti che saranno con l’Agnello:

Nella bocca loro non è stata trovata menzogna: sono irreprensibili. (Apocalisse 14:5)

Quindi l’essere irreprensibili significa dire la verità (non le mezze verità!), proclamare la sana dottrina e non scendere a compromessi con nulla.

 

Ravvediti

 

Ravvedimento, nella teologia cristiana, traduce il termine greco μετανοια, che significa "trasformazione della mente", e che è spesso usato nella Septuaginta per tradurre il termine tardo ebraico nacham.

Definito in questo modo, "ravvedimento" potrebbe apparire qualcosa di esclusivamente intellettuale. Non è così, in quanto gli scrittori della Bibbia erano fortemente consapevoli dell'unità della personalità umana.

"Trasformare la mente" era essenzialmente modificare il nostro atteggiamento e così, almeno in principio, cambiare il nostro modo di agire e l'intero modo di vivere.

Il ravvedimento è un principio importante nella predicazione biblica (Geremia 25, 1-7; Marco 1,15; Marco 6,12; Luca 1,16 e sgg.; Atti 2,38 ecc.).

Un brano dell'Antico Testamento che non usa questa parola, esprime bene il suo significato: "Chi copre le sue colpe non prospererà, ma chi le confessa e le abbandona otterrà misericordia" (Proverbi 28,13).

Il ravvedimento è un aspetto della conversione, l'altro è la fede.

Essi sono due aspetti di un'unica esperienza, quella in cui un uomo o una donna abbandona ciò che Dio considera peccato e si affida completamente a Cristo.

L'iniziale ravvedimento dovrebbe condurre alla rinuncia abituale al peccato.

Il ravvedimento, propriamente detto, non dovrebbe essere confuso con la penitenza, termine che spesso, nelle versioni cattoliche romane della Bibbia traduce lo stesso μετανοια.

L'idea che penitenza suggerisce è, infatti, più l'esecuzione di atti prescritti dalla Chiesa per espiare peccati post-battesimali, ma quest'idea non trova riscontro come tale nel Nuovo Testamento, ma fa parte di un'evoluzione posteriore del concetto.

 ( Fonte Wikipedia )

Il ricordo di questo primo amore, deve portare il cristiano ad un continuo ravvedimento, è errato limitare il ravvedimento ad un evento unico nella vita di un credente.

E’ vero che siamo stati rigenerati una volta sola, siamo stati lavati e sanati una volta per sempre, ma nel cammino su questa terra, siamo continuamente soggetti a sporcarci, cadere.

Giovanni, nella sua prima lettera esprime molto bene questo concetto:

Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi, e la verità non è in noi.

Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità.

Se diciamo di non aver peccato, lo facciamo bugiardo, e la sua parola non è in noi. Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; e se qualcuno ha peccato, noi abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto.

Egli è il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati, e non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo.” (1° Giovanni 1:8 / 2:2)

Il credente quindi è chiamato continuamente a ricordare la sua rigenerazione, ed a ravvedersi ( fare le pulizie ) all’interno della sua nuova casa.

 

Compi le opere di prima

Questa è la diretta conseguenza del ristabilimento degli esatti parametri, presupposti di una corretto allineamento tra la nostra posizione in Cristo e la nostra vita reale.

Non ci si può ingannare, è vero che la salvezza è per grazia, mediante la fede, ma le opere risultano essere la manifestazione di tale fede:

A che serve, fratelli miei, se uno dice di aver fede ma non ha opere? Può la fede salvarlo?

Se un fratello o una sorella non hanno vestiti e mancano del cibo quotidiano, e uno di voi dice loro: «Andate in pace, scaldatevi e saziatevi», ma non date loro le cose necessarie al corpo, a che cosa serve?

Così è della fede; se non ha opere, è per se stessa morta.

Anzi uno piuttosto dirà: «Tu hai la fede, e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le tue opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede».

Tu credi che c'è un solo Dio, e fai bene; anche i demòni lo credono e tremano.

(Giacomo 2:14-19)

Il fatto di essere trionfanti in Lui ( cfr 1 Corinzi 15:57-58 ), deve servirci da sprone, come un continuo incoraggiamento ad essere saldi, incrollabili, perché la nostra fatica non è vana nel Signore.

Se la chiesa lascia morire l’amore che è la sua vita, essa perde il diritto di essere contata tra le chiese di Cristo.

La soluzione ultima provveduta da Cristo, nel caso di persistenza dello stato di “peccato” (nel senso di mancare lo scopo per cui è stata istituita), è la rimozione del candelabro.

Il candelabro è un manufatto che ha una specifica funzione: fare luce.

Questo candelabro, mediante il carico di olio, brucia e fa luce, nel momento che non vi è più olio carburante smette di fare luce, smette la sua funzione di candelabro, potrà rimanere il manufatto come un ricordo, anche imbarazzante visto il suo inutilizzo, come un monumento in fase di deterioramento, fino a che non ci si sbarazzerà del manufatto per persistente inutilità.

 

Tuttavia hai questo, che detesti le opere dei Nicolaiti, che anch'io detesto.

Tutto quel che c’è di buono nella chiesa, Cristo non lo dimentica, nella sua Giustizia e nel Suo Amore, sembra incoraggiare gli efesini a ravvivare il loro amore, proprio lodando la loro avversione per le “opere dei nicolaiti” ( non per i nicolaiti ).

Quasi a voler ricordare la loro prima reazione positiva all’annuncio del vangelo con la denuncia delle arti magiche, loda ora il loro “detestare” le opere di questi falsi discepoli che “detesta” Cristo stesso.

Non abbiamo notizie certe di chi fossero i nicolaiti.

Nella lettera alla chiesa di Pergamo, la dottrina dei nicolaiti viene assimilata alla dottrina di “Balaam il quale insegnava a Balac il modo di fare cadere i figli di Israele inducendoli alla fornicazione” (Apocalisse 2:14-15), per la storia di Balac e Balaam vedi Numeri 22-25.

Qual’era la dottrina di Balaam?

Numeri 25:1-2 narra che Israele, stando in Sittim, cominciò a fornicare con le figlie di Moab, le quali invitarono gl’israeliti ai sacrifici offerti ai loro dei, il popolo accettò di prendere parte a quei conviti e si prostrò dinanzi a Baal.

In Numeri 31:16 viene detto che le figlie di madian e di Moab usarono quell’astuzia per trascinare Israele all’idolatria, seguendo il suggerimento di Balaam.

Giuda nella sua lettera, richiama il traviamento di Balaam specificando che era sopraffatto dall’amore del denaro ( Giuda 11 ), e Paolo dichiara che molti hanno naufragato in quanto alla fede per questo problema: Infatti l'amore del denaro è radice di ogni specie di mali; e alcuni che vi si sono dati, si sono sviati dalla fede e si sono procurati molti dolori.

(1 Timoteo 6:10)

 

Quando satana non riesce a vincere i credenti con la violenza allora cambia tattica, cerca di rovinarli tramite dei cristiani rilassati che abusano della libertà.

Ognuno di noi è una guida con il proprio esempio.

Quel che le persecuzioni durante tre secoli contro la Chiesa primitiva non avevano ottenuto, l’ottenne la mondanità che penetrò in essa al tempo di Costantino, la chiesa fu mondanizzata, benessere, amore del denaro e piaceri sessuali fuori dall’ambito matrimoniale, sono gli strumenti astuti di satana.

Non si può scherzare col fuoco o camminare sull’orlo del precipizio, fare dei compromessi con il mondo, la scrittura ci esorta a non amare il mondo ( 1 Giovanni 1:15-16 ) a fuggire il male sotto tutte le sue forme (1 Timoteo 6:11).

 

Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese.

L’avvertimento finale, presente in tutte le lettere alle sette chiese, richiama l’attenzione di chiunque è in grado di ascoltare, pertanto va oltre i destinatari della singola chiesa alla quale è indirizzato il messaggio.

Ciascun messaggio esprime il pensiero di Cristo di fronte allo stato particolare della chiesa cui è rivolto; ma ognuno che abbia orecchio per udire cose spirituali, saprà applicare al proprio stato gli incoraggiamenti, le esortazioni, i biasimi e le promesse contenute nella varie lettere.

I messaggi sono parola di Cristo: “ Queste cose dice Colui… “ e sono ugualmente Parola dello Spirito Santo: “ ciò che lo Spirito dice alle chiese “.

A chi vince io darò da mangiare dell'albero della vita, che è nel paradiso di Dio".

La ripetizione della formula “ a chi vince ” inculca la grande verità che la vita cristiana è una guerra dalla quale nessuno si può esentare, ma nella quale, anche il più debole dei santi può riuscire vincitore.

D’altronde, come abbiamo già visto al principio del libro dell’apocalisse, i destinatari di questa rivelazione sono i “servi di Dio nella tribolazione”, pertanto lo scopo principale di ogni rivelazione contenuta in questo libro è di ricordare che alla fine della corsa c’è un premio smisurato!

In Genesi 2:9; 3:22-24, l’albero della vita che simboleggia l’immortalità, è presente nel mezzo del giardino di Dio ed in seguito al peccato di Adamo gli fu preclusa la possibilità di nutrirsene.

Nella nuova Gerusalemme di Apocalisse 22:2-14, abbiamo l’albero della vita sulle rive del fiume della vita e coloro che lavano le loro vesti hanno diritto di mangiarne i frutti.

Il concetto di vita non si limita alla sola esistenza eterna, ma significa la vita nel senso pieno del termine, ovvero la perfetta comunione con Dio.

Una applicazione conclusiva che possiamo trarre dalla lettera alla chiesa di Efeso è che l’attaccamento alla sana dottrina, ai corretti principi morali derivati da una profonda conoscenza del pensiero di Dio, la costanza e la fatica instancabile nel servizio, la sopportazione delle “molte cose”, senza l’amore non servono a nulla.

Come ha scritto Paolo ai Corinzi:

“Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi amore, sarei un rame risonante o uno squillante cembalo. 

Se avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi amore, non sarei nulla.

Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri, se dessi il mio corpo a essere arso, e non avessi amore, non mi gioverebbe a niente.

L'amore è paziente, è benevolo; l'amore non invidia; l'amore non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s'inasprisce, non addebita il male, non gode dell'ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa.

L'amore non verrà mai meno.

Le profezie verranno abolite; le lingue cesseranno; e la conoscenza verrà abolita; poiché noi conosciamo in parte, e in parte profetizziamo;  ma quando la perfezione sarà venuta, quello che è solo in parte, sarà abolito.

Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino; ma quando sono diventato uomo, ho smesso le cose da bambino.

Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfettamente conosciuto.

Ora dunque queste tre cose durano: fede, speranza, amore; ma la più grande di esse è l'amore.”    (1 Corinzi 13:1-13)

Gianni Marinuzzi