I diaconi - L'arresto di Stefano
ATTI DEGLI APOSTOLI 6:1-15
In quei giorni,
moltiplicandosi il numero dei discepoli, sorse un mormorio da parte degli
ellenisti contro gli Ebrei, perché le loro vedove erano trascurate
nell'assistenza quotidiana.
I dodici,
convocata la moltitudine dei discepoli, dissero: «Non è conveniente che noi
lasciamo la Parola di Dio per servire alle mense.
Pertanto,
fratelli, cercate di trovare fra di voi sette uomini, dei quali si abbia
buona testimonianza, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo
questo incarico.
Quanto a noi,
continueremo a dedicarci alla preghiera e al ministero della Parola».
Questa proposta
piacque a tutta la moltitudine; ed elessero Stefano, uomo pieno di fede e di
Spirito Santo, Filippo, Procoro, Nicanore, Timone, Parmena e Nicola,
proselito di Antiochia.
Li presentarono
agli apostoli, i quali, dopo aver pregato, imposero loro le mani.
La Parola di Dio
si diffondeva, e il numero dei discepoli si moltiplicava grandemente in
Gerusalemme; e anche un gran numero di sacerdoti ubbidiva alla fede.
Ora Stefano,
pieno di grazia e di potenza, faceva grandi prodigi e segni tra il popolo.
Ma alcuni della
sinagoga detta dei Liberti, dei Cirenei, degli Alessandrini, di quelli di
Cilicia e d'Asia, si misero a discutere con Stefano; e non potevano
resistere alla sapienza e allo Spirito con cui egli parlava.
Allora
istigarono degli uomini che dissero: «Noi lo abbiamo udito mentre
pronunciava parole di bestemmia contro Mosè e contro Dio».
Essi misero in
agitazione il popolo, gli anziani, gli scribi; e, venutigli addosso, lo
afferrarono e lo condussero al sinedrio; e presentarono dei falsi testimoni,
che dicevano: «Quest'uomo non cessa di proferire parole contro il luogo
santo e contro la legge.
Infatti lo
abbiamo udito affermare che quel Nazareno, Gesù, distruggerà questo luogo e
cambierà gli usi che Mosè ci ha tramandati».
E tutti quelli
che sedevano nel sinedrio, fissati gli occhi su di lui, videro il suo viso
simile a quello di un angelo.
***
In quei giorni,
moltiplicandosi il numero dei discepoli, sorse un mormorio da parte degli
ellenisti contro gli Ebrei, perché le loro vedove erano trascurate
nell'assistenza quotidiana.
Il racconto ci conduce verso l'anno 36 - 38 dell'era
cristiana.
Questi
ellenisti sono "i
dispersi fra i Greci" di cui è fatta menzione in
Giovanni 7:35,
e in generale "quelli della dispersione" ai quali scriveranno Giacomo (cfr
Giacomo 1:1) e Pietro (cfr
1Pietro 1:1).
Il
mormorio
che avvenne, è spiegato nel testo:
perché le vedove degli ellenisti erano trascurate
nell’assistenza quotidiana: o per intenderci meglio: perché le vedove degli
ellenisti erano neglette nella distribuzione giornaliera, o nelle
giornaliere sovvenzioni.
Come pratico effetto di quello spirito di carità fraterna
che animava la Chiesa, molte persone, ed in particolare le vedove e gli
orfani, erano mantenute a spese della cassa comune.
E nella distribuzione giornaliera,
che gli apostoli facevano (perché a loro veniva affidato il denaro comune)
(cfr
Atti 4:37),
era avvenuta qualche trascuratezza.
Si sospettava che gli apostoli, che erano galilei,
avessero delle preferenze speciali per le vedove “loro paesane” a danno
delle vedove che venivano "dalla dispersione".
***
I dodici,
convocata la moltitudine dei discepoli, dissero: «Non è conveniente che noi
lasciamo la Parola di Dio per servire alle mense.
Il tatto e la moderazione degli apostoli sono veramente
esemplari.
Non si offendono del sospetto;
non si preoccupano della loro difesa; ma ricordandosi probabilmente
d'un precedente storico (del consiglio di Ietro a Mosè
Esodo 18:13-27),
chiedono che tutta quanta la Chiesa (così quelli che
davano, cioè, come quelli
che ricevevano il
danaro dei soccorsi) prenda sulle proprie spalle l'intera responsabilità
della cosa, e si elegga ella stessa dei rappresentanti idonei.
Chi ha un po' di pratica di cose di beneficenza capisce
al volo che le lamentele e le gelosie dovevano essere inevitabili, e che il
tempo richiesto da un simile lavoro doveva essere enorme.
Questo lavoro, toglieva molto tempo
alla
predicazione della Parola che era il vero motore della Chiesa.
Gli apostoli compresero da questo “piccolo incidente”,
che la vera spinta della Chiesa non doveva essere l’assistenza (che non
doveva essere comunque trascurata), ma la Parola di Dio.
***
Pertanto,
fratelli, cercate di trovare fra di voi sette uomini, dei quali si abbia
buona testimonianza, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo
questo incarico.
Il numero
sette, che le nazioni
pagane consideravano come sacro, è uno dei numeri per i quali gli ebrei
avevano grande rispetto e riverenza.
Questi sette uomini
dovevano avere delle particolari carattersistiche, una tra tutte, godere di
una buona testimonianza, di una buona reputazione.
Paolo confermerà
questo nei suoi insegnamenti circa le caratteristiche dei diaconi:
…i
diaconi devono essere dignitosi, non doppi nel parlare, non propensi a
troppo vino, non avidi di illeciti guadagni; uomini che custodiscano il
mistero della fede in una coscienza pura.
Anche questi siano prima provati; poi svolgano il loro
servizio se sono irreprensibili.
Allo stesso modo siano le donne dignitose, non
maldicenti, sobrie, fedeli in ogni cosa.
I diaconi siano mariti di una sola moglie, e governino
bene i loro figli e le loro famiglie.
Perché quelli che hanno svolto bene il compito di
diaconi si acquistano un grado onorabile e una grande franchezza nella fede
che è in Cristo Gesù.
(1 Timoteo 3:8-13)
Delle qualità morali e spirituali dei candidati come
delle loro attitudini alla carica del diaconato, giudica prima di tutto la
Chiesa.
Gli apostoli si riservano il diritto di preporli
all'ufficio mediante la preghiera e l'imposizione delle mani.
***
Quanto a noi,
continueremo a dedicarci alla preghiera e al ministero della Parola».
La preghiera
in tutta la sua varietà, la preghiera pubblica e la preghiera privata.
Il
ministero della Parola si riferisce ad ogni
forma d'insegnamento.
***
Questa proposta
piacque a tutta la moltitudine; ed elessero Stefano, uomo pieno di fede e di
Spirito Santo, Filippo, Procoro, Nicanore, Timone, Parmena e Nicola,
proselito di Antiochia.
L'elezione è fatta per suffragio universale.
Di
Stefano ne parleremo fra poco (cfr
Atti 6:8; 8:2).
Di
Filippo, pure (cfr
Atti 8:5-40; 21:8).
Procoro, Nicanor, Timone e Parmena
ci sono affatto ignoti.
Nicolao
era
un proselita antiocheno;
non era dunque israelita di nascita; ma è un fatto che deve aver ricevuto la
circoncisione; se no, i cristiani del suo tempo non soltanto non l'avrebbero
eletto diacono, ma non l'avrebbero nemmeno ricevuto nella loro comunità.
Antiochia
nominata ancora in
Atti 11:19-20,26;
15:22,35;
Galati 2:11
ecc. era una città della Siria, sul fiume Oronte, e si chiamava prima
Riblat.
Non è mai ricordata nell'Antico Testamento, ma spesso
invece negli libri apocrifi.
Fu edificata da Seleuco Nicanor nel
301 avanti Cristo e si chiamò Antiochia
in onore di Antioco
padre del fondatore.
Fu in questa città, che, come
vedremo, i discepoli di Cristo vennero per la prima volta chiamati
Cristiani (cfr
Atti 11:26).
C'era un'altra Antiochia, che non
va confusa con questa; era Antiochia di Pisidia, che è nominata in
Atti 13:14.
Il diaconato era stato istituito per "il servizio delle
mense", ossia, per la distribuzione dei soccorsi.
Ciò non vuol dire che un diacono non potesse annunciare
L'Evangelo.
Nello stesso tempo non deve
meravigliarci vedere un apostolo che si occuperà di collette per i poveri
(cfr
1 Corinzi 1:2;
2 Corinzi 8),
o un diacono come Stefano e Filippo (cfr
Atti 8:5
e seg.) annunciare la Parola del Signore.
Nel Regno di Dio la divisione del lavoro non annulla né
limita l'esercizio dei doni dello Spirito.
***
Li presentarono
agli apostoli, i quali, dopo aver pregato, imposero loro le mani.
E la prima volta che nel Nuovo Testamento si parla di
quest'atto di imposizione delle mani.
Nell'Antico Patto è un atto frequente e simbolico, e
significa:
-
trasferimento di colpa:
Quando qualcuno di voi vorrà portare un'offerta al
SIGNORE, offrirete bestiame grosso o minuto.
Se la sua offerta è un olocausto di bestiame grosso,
offrirà un maschio senza difetto: l'offrirà all'ingresso della tenda di
convegno, per ottenere il favore del SIGNORE.
Poserà la mano
sulla testa dell'olocausto, e il SIGNORE lo accetterà come espiazione.
Poi sgozzerà il vitello davanti al SIGNORE e i
sacerdoti, figli d'Aaronne, offriranno il sangue e lo spargeranno
sull'altare, da ogni lato, all'ingresso della tenda di convegno.
(Levitico 1:2-5)
Fece quindi avvicinare
il toro del sacrificio espiatorio, e
Aaronne e i suoi figli gli posarono le mani sulla testa.
(Levitico 8:14)
Quando avrà finito di fare l'espiazione per il
santuario, per la tenda di convegno e per l'altare, farà avvicinare il capro
vivo.
Aaronne poserà
tutte e due le mani sul capo del capro vivo, confesserà su di lui tutte le
iniquità dei figli d'Israele, tutte le loro trasgressioni, tutti i loro
peccati e li metterà sulla testa del capro; poi, per mano di un uomo che ha questo incarico,
lo manderà via nel deserto.
Quel capro porterà su di sé tutte le loro iniquità in
una regione solitaria; esso sarà lasciato andare nel deserto.
(Levitico 16:20-22)
-
comunicazione di
benedizione:
Poi Giuseppe li prese tutti e due: Efraim alla sua
destra, alla sinistra d'Israele, e Manasse alla sua sinistra, alla destra
d'Israele, e li fece avvicinare a lui.
E Israele stese
la sua mano destra e la posò sul capo di Efraim, che era il più giovane, e
posò la sua mano sinistra sul capo di Manasse, incrociando le mani;
perché Manasse era il primogenito.
Benedisse Giuseppe e disse: «Il Dio alla cui presenza
camminarono i miei padri Abraamo e Isacco, il Dio che è stato il mio pastore
da quando esisto fino a questo giorno, l'angelo che mi ha liberato da ogni
male, benedica questi ragazzi! Siano chiamati con il mio nome, con il nome
dei miei padri, Abraamo e Isacco, e si moltiplichino abbondantemente sulla
terra!»
Quando Giuseppe vide che suo padre posava la mano
destra sul capo di Efraim, ne ebbe dispiacere e prese la mano di suo padre
per levarla dal capo di Efraim e metterla sul capo di Manasse.
Giuseppe disse a suo padre: «Non
così, padre mio, perché questo è il primogenito;
metti la tua mano destra sul suo capo».
Ma suo padre rifiutò e disse: «Lo so, figlio mio, lo
so; anch'egli diventerà un popolo; anch'egli sarà grande; nondimeno il suo
fratello più giovane sarà più grande di lui e la sua discendenza diventerà
una moltitudine di nazioni».
In quel giorno li benedisse, dicendo: «Di te si
servirà Israele per benedire, e dirà: "Dio ti faccia simile a Efraim e a
Manasse!"» E
mise Efraim prima di Manasse.
(Genesi 48:13-20)
-
designazione ad un
ufficio:
Farai avvicinare i Leviti
davanti al SIGNORE e i figli
d'Israele imporranno le mani sui Leviti; Aaronne presenterà i Leviti
come offerta agitata davanti al SIGNORE da parte dei figli d'Israele ed essi
faranno il servizio del SIGNORE.
Poi
i Leviti poseranno le mani sulla testa dei tori e tu ne offrirai uno
come sacrificio per il peccato e l'altro come olocausto al SIGNORE, per fare
l'espiazione per i Leviti.
Farai stare i Leviti in piedi
davanti ad Aaronne e davanti ai suoi figli, e
li presenterai come un'offerta
agitata al SIGNORE.
Così separerai i Leviti in mezzo
ai figli d'Israele, e i Leviti
saranno miei.
Dopo questo,
i Leviti verranno a fare il servizio nella tenda di convegno; e tu
li purificherai e li presenterai come
un'offerta agitata; poiché mi sono interamente dati tra i figli
d'Israele; io li ho presi per me, invece di tutti i primi nati, dei
primogeniti di tutti i figli d'Israele.
(Numeri
8:10-16)
Il SIGNORE disse a Mosè: «Prendi
Giosuè, figlio di Nun, uomo in cui è
lo Spirito; imporrai la tua mano su di lui; lo farai comparire davanti
al sacerdote Eleazar e davanti a tutta la comunità, gli darai i tuoi ordini
in loro presenza, e lo farai
partecipe della tua autorità, affinché tutta la comunità dei figli
d'Israele gli obbedisca.
Egli si presenterà davanti al sacerdote Eleazar, che
consulterà per lui il giudizio dell'urim davanti al SIGNORE; egli e tutti i
figli d'Israele con lui e tutta la comunità usciranno all'ordine di Eleazar
ed entreranno all'ordine suo».
Mosè fece come
il SIGNORE gli aveva ordinato; prese Giosuè e lo fece
comparire davanti al sacerdote Eleazar e davanti a tutta la comunità;
impose su di lui le sue mani e gli diede i suoi ordini, come il SIGNORE
aveva comandato per mezzo di Mosè.
(Numeri 27:18-23)
Anche Gesù benedisse i bambini secondo questo modo:
Gli presentavano dei bambini perché li toccasse; ma i
discepoli sgridavano coloro che glieli presentavano.
Gesù, veduto ciò, si indignò e disse loro: «Lasciate
che i bambini vengano da me; non glielo vietate, perché il regno di Dio è
per chi assomiglia a loro.
In verità io vi dico che chiunque non avrà ricevuto il
regno di Dio come un bambino, non vi entrerà affatto».
E, presili in braccio,
li benediceva ponendo le mani su di
loro. (Marco 10:16)
Anche nel Nuovo Patto troviamo questa usanza:
Nella chiesa che era ad Antiochia c'erano profeti e
dottori: Barnaba, Simeone detto Niger, Lucio di Cirene, Manaem, amico
d'infanzia di Erode il tetrarca, e Saulo.
Mentre celebravano il culto del
Signore e digiunavano, lo Spirito Santo disse: «Mettetemi da parte Barnaba e Saulo per l'opera alla quale li ho chiamati».
Allora, dopo
aver digiunato, pregato e imposto loro le mani, li lasciarono partire.
(Atti 13:3)
Non trascurare
il dono che è in te e che
ti fu dato mediante la parola
profetica insieme all'imposizione delle mani dal collegio degli anziani.
(1 Timoteo 4:14)
Non imporre con
troppa fretta le mani a nessuno, e non partecipare ai peccati altrui; consèrvati
puro. (1 Timoteo 5:22)
L’imposizione delle mani, nel
nostro testo, è un atto di benedizione, per cui si introduce in un incarico
designata dai voti dell'assemblea;
non è un mezzo di comunicare lo Spirito Santo.
Questi sette diaconi erano già ripieni di Spirito
Santo! (cfr Atti 6:3-5)
***
La Parola di Dio
si diffondeva, e il numero dei discepoli si moltiplicava grandemente in
Gerusalemme; e anche un gran numero di sacerdoti ubbidiva alla fede.
La Chiesa viveva in santa e perfetta armonia e la Parola
cresceva, era un periodo di spirituale prosperità.
La testimonianza era talmente forte
che, oltre ai “popolani”, anche un
gran numero di sacerdoti ubbidiva alla fede;
si convertiva.
La conversione a Cristo di questi
sacerdoti era da loro stessi considerata come un atto di
ubbidienza alla volontà di Dio!
Che trionfo per l'Evangelo della grazia!
***
Ora Stefano,
pieno di grazia e di potenza, faceva grandi prodigi e segni tra il popolo.
Ma alcuni della
sinagoga detta dei Liberti, dei Cirenei, degli Alessandrini, di quelli di
Cilicia e d'Asia, si misero a discutere con Stefano; e non potevano
resistere alla sapienza e allo Spirito con cui egli parlava.
Questi
Liberti
erano discendenti di giudei che erano stati condotti a Roma in schiavitù da
Pompeo nel ’63 a.C. e da altri, e che poi erano stati affrancati in questa
città.
Relativamente ai
Cirenei, possiamo dire che
Cirene era in Africa, tra Cartagine ed
Alessandria.
Strabone, citato da Giuseppe Flavio (Antich. 14:7 § 2),
dice che i giudei ne formavano il quarto della intera popolazione.
Simone il Cireneo (cfr
Matteo 27:32)
deve essere stato un membro di questa sinagoga, e probabilmente un bel
frutto di conversione a Gesù.
Più tardi, e senza dubbio come
risultato della predicazione di Stefano, troveremo i cirenei sulla breccia a
predicare l'evangelo ai pagani in Antiochia (cfr
Atti 11:20).
Circa gli
Alessandrini
possiamo dire che
Alessandria era la capitale dell'Egitto, fondata da Alessandro il Grande.
In Alessandria era stata fatta la
traduzione greca così detta dei Settanta,
che tutti gli ellenisti usavano e che era
largamente letta anche in Palestina.
In questi tempi viveva in Alessandria, onorato e famoso,
il celebre Filone.
Circa
quelli di Cilicia,
si può dire che la
Cilicia era una provincia dell'Asia Minore, sul mare, al nord di Cipro.
La capitale di questa provincia era Tarso.
Anche in Cilicia i Giudei erano numerosi; discendevano da
quelle duemila famiglie giudaiche, che Antioco il Grande vi aveva cacciate
dalla Palestina.
Saulo, uno dei più accaniti nemici di Stefano, faceva
parte di questa sinagoga.
Per
quelli dell’Asia,
si intendono quelli dell'Asia
proconsolare, che aveva Efeso per capitale.
Esisteva in Gerusalemme un gran numero di sinagoghe per
la celebrazione del culto.
La tradizione talmudica ne fa salire il numero a 480.
Fra tutte queste sinagoghe, quelle nominate nel nostro
testo, servivano di luogo di riunione ai giudei stranieri, pellegrini di
passaggio o domiciliati nella città, i quali avevano disimparato l'ebraico a
causa della prolungata residenza delle loro famiglie in province lontane
dell'impero.
***
Allora
istigarono degli uomini che dissero: «Noi lo abbiamo udito mentre
pronunciava parole di bestemmia contro Mosè e contro Dio».
Essi misero in
agitazione il popolo, gli anziani, gli scribi; e, venutigli addosso, lo
afferrarono e lo condussero al sinedrio; e presentarono dei falsi testimoni,
che dicevano: «Quest'uomo non cessa di proferire parole contro il luogo
santo e contro la legge.
Le cose predicate da Stefano non ci sono note; ma è
facile e naturale l'intendere dal testo che il grande uomo di Dio insegnava:
- che la gloria del tempio stava per tramontare;
- che con la caduta del tempio anche il culto levitico
era destinato a sparire;
- che la Legge mosaica doveva lasciare il posto ad una
rivelazione più sublime e più completa: alla rivelazione della volontà di
Dio, che Cristo aveva portata agli uomini;
- che i privilegi del popolo eletto dovevano esser presto
assorbiti dalle benedizioni, di cui l'Eterno voleva benedire la Chiesa
universale, che Gesù aveva fondata e stabilita nel mondo.
Si capisce che tutte queste, per i
giudei, dovevano essere delle bestemmie contro
Mosè per mezzo di cui fu data la legge,
e contro Dio, che aveva
ordinato il Tempio.
La tecnica delle
false testimonianze fu usata
anche nei confronti di Gesù:
I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano
qualche testimonianza contro Gesù per farlo morire; ma non ne trovavano.
Molti deponevano
il falso contro di lui; ma le testimonianze non erano concordi.
E
alcuni si alzarono e testimoniarono
falsamente contro di lui dicendo: «Noi l'abbiamo udito mentre diceva:
"Io distruggerò questo tempio fatto da mani d'uomo, e in tre giorni ne
ricostruirò un altro, non fatto da mani d'uomo"».
Ma neppure così la loro testimonianza era concorde.
Allora il sommo sacerdote, alzatosi in piedi nel
mezzo, domandò a Gesù: «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro
contro di te?» (Marco 14:55-60)
***
Infatti lo
abbiamo udito affermare che quel Nazareno, Gesù, distruggerà questo luogo e
cambierà gli usi che Mosè ci ha tramandati».
E tutti quelli
che sedevano nel sinedrio, fissati gli occhi su di lui, videro il suo viso
simile a quello di un angelo.
Ecco qui la predicazione di Stefano!
Egli annunciava la decadenza del tempio e della legge.
Egli predicava quello che Gesù aveva più d'una volta
detto più o meno apertamente:
Noi l'abbiamo udito mentre diceva: "Io distruggerò
questo tempio fatto da mani d'uomo, e in tre giorni ne ricostruirò un altro,
non fatto da mani d'uomo” (Marco 14:58)
Vedete tutte queste cose? Io vi dico in verità: Non
sarà lasciata qui pietra su pietra che non sia diroccata.
(Matteo 24:2)
Gesù rispose loro: «Distruggete questo tempio, e in
tre giorni lo farò risorgere!»
(Giovanni 2:19)
La predicazione di Stefano mette in evidenza un nuovo
elemento del Vangelo.
Le parole di Gesù relative alla distruzione del tempio
erano senza dubbio note a tutti gli apostoli; ma è a Stefano che annuncia
con convinzione profonda e vivente questo “tramonto di un antico ordine
religioso di cose” e questo “nuovo giorno”.
Finora, come abbiamo visto nei capitoli precedenti, gli
apostoli insegnano questa verità: che Gesù è il Cristo, il Messia; ma non
vanno più in là.
Stefano non discute più sulla messianità di Gesù; ma
analizza l'opera messianica di Gesù; sviscera le relazioni di quest'opera
col giudaismo antico e mostra che il cristianesimo non è un giudaismo
rattoppato e verniciato alla meglio. ma un sistema religioso nuovo, che deve
addirittura sostituire l'antico.
Per queste idee che accennano alla emancipazione completa
del cristianesimo dai ceppi del legalismo giudaico, Stefano diventa il
legittimo e glorioso precursore di Paolo, il quale si varrà più tardi,
almeno in due occasioni, delle parole stesse di Stefano.
Il popolo è furibondo e i giudici di Stefano sono animati
da sentimenti terribili, ma Stefano parla per lo Spirito.
In mezzo all'ostile assemblea del sinedrio, egli è calmo,
sereno, ha coscienza viva della grandezza del suo compito.
Lo Spirito Santo lo assicura intimamente del trionfo
della Grazia che egli annuncia e rappresenta, lo trasfigura dinnanzi agli
occhi degli avversari.