LETTERA DI PAOLO AI FILIPPESI
INTRODUZIONE
"…attraversarono la Frigia e la regione della Galazia, perché lo Spirito Santo vietò loro di annunciare la parola in Asia; e, giunti ai confini della Misia, cercavano di andare in Bitinia; ma lo Spirito di Gesù non lo permise loro;
e, oltrepassata la Misia, discesero a
Troas.
Paolo ebbe durante la notte una visione:
un macedone gli stava davanti, e lo pregava dicendo: «Passa in Macedonia e
soccorrici».
Appena ebbe avuta quella visione, cercammo subito di partire per la Macedonia,
convinti che Dio ci aveva chiamati là, ad annunciare loro il vangelo.
(Atti degli apostoli 16:6-10)
***
Paolo passò per la prima volta da Filippi nel suo secondo viaggio
missionario, accompagnato dal Silvano (tra il 51 ed il 54 d.C.), in seguito
ad una visione specifica ed unica, ricevuta quando era a
Troas:
…attraversarono
la Frigia e la regione della Galazia, perché lo Spirito Santo vietò loro di
annunciare la parola in Asia; e, giunti ai confini della Misia, cercavano di
andare in Bitinia; ma lo Spirito di Gesù non lo permise loro; e,
oltrepassata la Misia, discesero a
Troas.
Paolo ebbe durante la notte una visione: un macedone gli stava davanti, e lo
pregava dicendo: «Passa in Macedonia e soccorrici». Appena ebbe avuta quella
visione, cercammo subito di partire per la Macedonia, convinti che Dio ci
aveva chiamati là, ad annunciare loro il vangelo.
In questo viaggio da Troas a Filippi, si unisce a Paolo e Silvano anche
Luca, ma le premesse del loro
arrivo a Filippi non furono sensazionali, anzi non trovarono che un
ristretto numero di donne, che si ritrovavano
presso il fiume, da questo
gruppo si convertì la prima donna “europea”, una certa
Lidia, che appena convertita
si mise immediatamente al servizio degli apostoli:
Perciò, salpando da Troas, puntammo diritto su Samotracia, e il giorno
seguente su Neapolis; di là ci
recammo a Filippi, che è colonia romana e la città più importante di
quella regione della Macedonia; e restammo in quella città alcuni giorni.
Il sabato andammo fuori dalla porta,
lungo il fiume, dove pensavamo vi fosse un luogo di preghiera; e
sedutici parlavamo alle donne là
riunite.
Una donna della città di Tiatiri, commerciante di porpora, di nome Lidia,
che temeva Dio, ci stava ad
ascoltare. Il Signore le aprì il cuore, per renderla attenta alle cose dette
da Paolo.
Dopo che fu battezzata con la sua famiglia, ci pregò dicendo: «Se avete
giudicato ch'io sia fedele al Signore, entrate in casa mia, e alloggiatevi».
E ci costrinse ad accettare.
(Atti 16:11-15)
Il soggiorno a Filippi non fu “una passeggiata”, fu un vero e proprio
combattimento spirituale con un finale glorioso:
Mentre andavamo al luogo di preghiera, incontrammo una serva posseduta da
uno spirito di divinazione.
Facendo l'indovina, essa procurava molto guadagno ai suoi padroni.
Costei, messasi a seguire Paolo e noi, gridava: «Questi uomini sono servi
del Dio altissimo, e vi annunciano la via della salvezza».
Così fece per molti giorni; ma Paolo, infastidito, si voltò e disse allo
spirito: «Io ti ordino, nel nome di Gesù Cristo, che tu esca da costei».
Ed egli uscì in quell'istante.
I suoi padroni, vedendo che la speranza del loro guadagno era svanita,
presero Paolo e Sila e li trascinarono sulla piazza davanti alle autorità;
e, presentatili ai pretori, dissero: «Questi uomini, che sono Giudei,
turbano la nostra città, e predicano riti che a noi Romani non è lecito
accettare né praticare».
La folla insorse allora contro di loro; e i pretori, strappate loro le
vesti, comandarono che fossero battuti con le verghe.
E, dopo aver dato loro molte vergate, li cacciarono in prigione, comandando
al carceriere di sorvegliarli attentamente.
Ricevuto tale ordine, egli li rinchiuse nella parte più interna del carcere
e mise dei ceppi ai loro piedi.
Verso la mezzanotte Paolo e Sila, pregando, cantavano inni a Dio; e i
carcerati li ascoltavano.
A un tratto, vi fu un gran terremoto, la prigione fu scossa dalle
fondamenta; e in quell'istante tutte le porte si aprirono, e le catene di
tutti si spezzarono.
Il carceriere si svegliò e, vedute tutte le porte del carcere spalancate,
sguainò la spada per uccidersi, pensando che i prigionieri fossero fuggiti.
Ma Paolo gli gridò ad alta voce: «Non farti del male, perché siamo tutti
qui».
Il carceriere, chiesto un lume, balzò dentro e, tutto tremante, si gettò ai
piedi di Paolo e di Sila; poi li condusse fuori e disse: «Signori, che debbo
fare per essere salvato?»
Ed essi risposero: «Credi nel Signore Gesù, e sarai salvato tu e la tua
famiglia».
Poi annunciarono la Parola del Signore a lui e a tutti quelli che erano in
casa sua.
Ed egli li prese con sé in quella stessa ora della notte, lavò le loro
piaghe e subito fu battezzato lui con tutti i suoi.
Poi li fece salire in casa sua, apparecchiò loro la tavola, e si rallegrava
con tutta la sua famiglia, perché aveva creduto in Dio.
Fattosi giorno, i pretori mandarono i littori a dire: «Libera quegli
uomini».
Il carceriere riferì a Paolo queste parole, dicendo: «I pretori hanno
mandato a dire che siate rimessi in libertà; or dunque uscite, e andate in
pace».
Ma Paolo disse loro: «Dopo averci battuti in pubblico senza che fossimo
stati condannati, noi che siamo cittadini romani, ci hanno gettati in
prigione; e ora vogliono rilasciarci di nascosto? No davvero! Anzi, vengano
loro stessi a condurci fuori».
I littori riferirono queste parole ai pretori; e questi ebbero paura quando
seppero che erano Romani; essi vennero e li pregarono di scusarli; e,
accompagnandoli fuori, chiesero loro di andarsene dalla città.
Allora Paolo e Sila, usciti dalla prigione, entrarono in casa di Lidia; e
visti i fratelli, li confortarono, e partirono.
(Atti 16:16-40)
In questo poco tempo, i fratelli di Filippi si riunirono come Chiesa,
probabilmente nella casa messa a disposizione di Lidia e compresero subito
molto bene quale sarebbe stato l’impatto del Vangelo nella loro città, cosa
significava la persecuzione ed il combattimento spirituale.
Per questo furono i fratelli più solleciti verso l’apostolo Paolo, come
leggeremo in seguito:
Ho avuto una grande gioia nel Signore, perché finalmente
avete rinnovato le vostre cure per
me; ci pensavate sì, ma vi mancava l'opportunità.
Non lo dico perché mi trovi nel bisogno, poiché io ho imparato ad
accontentarmi dello stato in cui mi trovo. So vivere nella povertà e anche
nell'abbondanza; in tutto e per tutto ho imparato a essere saziato e ad aver
fame; a essere nell'abbondanza e nell'indigenza. Io posso ogni cosa in colui
che mi fortifica.
Tuttavia avete fatto bene a prender
parte alla mia afflizione.
Anche voi sapete, Filippesi, che
quando cominciai a predicare il vangelo, dopo aver lasciato la Macedonia,
nessuna chiesa mi fece parte di nulla per quanto concerne il dare e l'avere,
se non voi soli; perché anche a
Tessalonica mi avete mandato, una prima e poi una seconda volta, ciò che mi
occorreva. (Filippesi
4:10-16)
Oltre al primo soggiorno in occasione di quanto letto in Atti 16, l’apostolo
Paolo visitò altre due volte la chiesa di Filippi, come troviamo traccia
nella Scrittura:
- all’inizio del terzo viaggio missionario:
Ora, fratelli, vogliamo farvi conoscere la grazia che Dio ha concessa alle
chiese di Macedonia, perché nelle
molte tribolazioni con cui sono state provate, la loro gioia incontenibile e
la loro estrema povertà hanno sovrabbondato nelle ricchezze della loro
generosità.
Infatti, io ne rendo testimonianza,
hanno dato volentieri, secondo i loro mezzi, anzi, oltre i loro mezzi,
chiedendoci con molta insistenza il favore di partecipare alla sovvenzione
destinata ai santi.
E non soltanto hanno contribuito
come noi speravamo, ma prima hanno
dato se stessi al Signore e poi a noi, per la volontà di Dio.
(2 Corinzi 8:1-5)
- alla fine del terzo viaggio missionario:
Trascorsi i giorni degli Azzimi,
partimmo da Filippi e, dopo cinque giorni, li raggiungemmo a Troas, dove
ci trattenemmo sette giorni.
(Atti 20:6)
Paolo, consapevole della vittoria ottenuta a Filippi, definì questi
fratelli come la sua allegrezza e
la sua corona:
…fratelli miei cari e
desideratissimi, allegrezza e corona mia, state in questa maniera saldi
nel Signore, o diletti!
(Filippesi 4:1)
Il combattimento spirituale,
pur nella più feroce persecuzione, porta allegrezza e vittoria e
questo deve essere l’atteggiamento di chi vuole cooperare all’edificazione
del Corpo di Cristo;
proprio per questo, questa lettera è molto pratica e personale (non è una
lettera scritta da Paolo con autorità apostolica, in quanto non vi erano
situazioni particolari da correggere, ma è una lettera informale e quasi
intima), didattica circa la formazione delle mente del cristiano, per
poter poi vivere di conseguenza; è pertanto una lettera caratterizzata
dalla gioia, una gioia
così intensa da colmare tutte le sofferenze circostanziali in cui
sia Paolo, che presumibilmente i fratelli di Filippi, stavano vivendo.
Ed è proprio il tema della Gioia cristiana (quella
che da lo Spirito Santo e che deriva dall’ubbidienza al Vangelo), il
tema di questa lettera, vista come l’opera soprannaturale di Dio di
fronte a tutte le situazioni che il cristiano è chiamato a vivere.
Una altro aspetto che dobbiamo tenere conto per apprezzare le espressioni di
Paolo in questa lettera, è il fatto che i filippesi erano coloni romani e
godevano di particolari privilegi derivanti dalla loro cittadinanza
romana, inclusa l’esenzione dalle tasse e l’uso della lingua
latina come lingua ufficiale.
Questi privilegi portavano gli abitanti di Filippi a rendere un vero e
proprio culto dell’imperatore.
Questa loro posizione (nella quale si vantavano – cfr Atti 16:21), ci rende
più chiaro cosa intendesse dire Paolo quando scriveva loro:
…comportatevi
in modo degno del vangelo di Cristo…
(Filippesi 1:27)
Quanto
a noi, la nostra cittadinanza è nei
cieli…
(Filippesi 3:20)
Paolo scrisse questa lettera molto probabilmente intorno al 60-62 d.C.
durante il periodo di prigionia a Roma, contestualmente alle lettere
agli Efesini, ai Colossesi ed a Filemone.
Quando i credenti di Filippi seppero dell’arresto di Paolo a Roma,
mandarono Epafrodito (un loro inviato) per assisterlo e consolarlo da
parte loro e diedero a lui anche un sostegno economico per sopperire alle
cure dell’apostolo e rendergli “più sopportabile” la sofferenza.
Ma lo stesso Epafrodito, durante la sua permanenza a Roma, si
ammalò gravemente al punto di sfiorare la morte (cfr Filippesi 2:27), ma
dopo essersi ristabilito, portò questa lettera alla chiesa di Filippi.
Possiamo inoltre notare come dallo stato iniziale di chiesa neonata in casa
di Lidia, a distanza di circa 10 anni, la comunità dei
santi era già organizzata
secondo gli insegnamenti di Paolo (con
vescovi e
diaconi), sintomo di una
buona salute spirituale conseguente alla perfetta obbedienza alla dottrina
insegnata.
Possiamo, al fine di comprendere lo scopo della lettera, provare a
suddividere quanto scritto in paragrafi schematici:
1.
Incoraggiamento a vivere la vita cristiana
a.
Saluto
(1:1-2)
2.
La Gioia che da lo Spirito Santo
a.
La Gioia per la partecipazione al Vangelo
(1:3-11)
b.
La Gioia nel combattimento
(1:12-30)
c.
La Gioia nell’umiltà
(2:1-11)
d.
La Gioia nella santificazione
(2:12-18)
e.
La Gioia nella condivisione
(2:19-30)
f.
La Gioia nella corsa cristiana
(3:1 / 4:1)
g.
La Gioia nella concordia
(4:2-3)
h.
La Gioia nella preghiera
(4:4-9)
i.
La Gioia nella assistenza
(4:10-20)
3.
Conclusione
(4:21-23)