Paolo inviato a Roma: la tempesta ed il naufragio
ATTI DEGLI APOSTOLI
27:1-44
Quando fu deciso che noi salpassimo per l'Italia, Paolo con altri
prigionieri furono consegnati a un centurione, di nome Giulio, della coorte
Augusta.
Saliti sopra una nave di Adramitto, che doveva toccare i porti della costa
d'Asia, salpammo, avendo con noi Aristarco, un macedone di Tessalonica.
Il giorno seguente arrivammo a Sidone; e Giulio, usando benevolenza verso
Paolo, gli permise di andare dai suoi amici per ricevere le loro cure.
Poi, partiti di là, navigammo al riparo di Cipro, perché i venti erano
contrari.
E, attraversato il mare di Cilicia e di Panfilia, arrivammo a Mira di Licia.
Il centurione, trovata qui una nave alessandrina che faceva vela per
l'Italia, ci fece salire su quella.
Navigando per molti giorni lentamente, giungemmo a fatica, per l'impedimento
del vento, di fronte a Cnido.
Poi veleggiammo sotto Creta, al largo di Salmone; e, costeggiandola con
difficoltà, giungemmo a un luogo detto Beiporti, vicino al quale era la
città di Lasea.
Intanto era trascorso molto tempo, e la navigazione si era fatta pericolosa,
poiché anche il giorno del digiuno era passato.
Paolo allora li ammonì dicendo: «Uomini, vedo che la navigazione si farà
pericolosa con grave danno, non solo del carico e della nave, ma anche delle
nostre persone».
Il centurione però aveva più fiducia nel pilota e nel padrone della nave che
non nelle parole di Paolo.
E, siccome quel porto non era adatto a svernare, la maggioranza fu del
parere di partire di là per cercare di arrivare a Fenice, un porto di Creta
esposto a sud-ovest e a nord-ovest, e di passarvi l'inverno.
Intanto si era alzato un leggero scirocco e, credendo di poter attuare il
loro proposito, levarono le ancore e si misero a costeggiare l'isola di
Creta più da vicino.
Ma poco dopo si scatenò giù dall'isola un vento impetuoso, chiamato
Euroaquilone; la nave fu trascinata via e, non potendo resistere al vento,
la lasciammo andare ed eravamo portati alla deriva.
Passati rapidamente sotto un'isoletta chiamata Clauda, a stento potemmo
impadronirci della scialuppa.
Dopo averla issata a bordo, utilizzavano dei mezzi di rinforzo, cingendo la
nave di sotto; e, temendo di finire incagliati nelle Sirti, calarono
l'àncora galleggiante, e si andava così alla deriva.
Siccome eravamo sbattuti violentemente dalla tempesta, il giorno dopo
cominciarono a gettare il carico.
Il terzo giorno, con le loro proprie mani, buttarono in mare l'attrezzatura
della nave.
Già da molti giorni non si vedevano né sole né stelle, e sopra di noi
infuriava una forte tempesta, sicché ogni speranza di scampare era ormai
persa.
Dopo che furono rimasti per lungo tempo senza mangiare, Paolo si alzò in
mezzo a loro, e disse: «Uomini, bisognava darmi ascolto e non partire da
Creta, per evitare questo pericolo e questa perdita.
Ora però vi esorto a stare di buon animo, perché non vi sarà perdita della
vita per nessuno di voi ma solo della nave.
Poiché un angelo del Dio al quale appartengo, e che io servo, mi è apparso
questa notte, dicendo: "Paolo, non temere; bisogna che tu compaia davanti a
Cesare, ed ecco, Dio ti ha dato tutti quelli che navigano con te".
Perciò, uomini, state di buon animo, perché ho fede in Dio che avverrà come
mi è stato detto. Dovremo però essere gettati sopra un'isola».
E la quattordicesima notte da che eravamo portati qua e là per l'Adriatico,
verso la mezzanotte, i marinai sospettavano di essere vicini a terra; e,
calato lo scandaglio, trovarono venti braccia; poi, passati un po' oltre e
scandagliato di nuovo, trovarono quindici braccia.
Temendo allora di urtare contro gli scogli, gettarono da poppa quattro
ancore, aspettando con ansia che si facesse giorno.
Ma siccome i marinai cercavano di fuggire dalla nave, e già stavano calando
la scialuppa in mare con il pretesto di voler gettare le ancore da prua,
Paolo disse al centurione e ai soldati: «Se costoro non rimangono sulla
nave, voi non potete scampare».
Allora i soldati tagliarono le funi della scialuppa, e la lasciarono cadere.
Finché non si fece giorno, Paolo esortava tutti a prendere cibo, dicendo:
«Oggi sono quattordici giorni che state aspettando, sempre digiuni, senza
prendere nulla.
Perciò, vi esorto a prendere cibo, perché questo contribuirà alla vostra
salvezza; e neppure un capello del vostro capo perirà».
Detto questo, prese del pane e rese grazie a Dio in presenza di tutti; poi
lo spezzò e cominciò a mangiare.
E tutti, incoraggiati, presero anch'essi del cibo.
Sulla nave eravamo duecentosettantasei persone in tutto.
E, dopo essersi saziati, alleggerirono la nave, gettando il frumento in
mare.
Quando fu giorno, non riuscivamo a riconoscere il paese; ma scorsero
un'insenatura con spiaggia, e decisero, se possibile, di spingervi la nave.
Staccate le ancore, le lasciarono andare in mare; sciolsero al tempo stesso
i legami dei timoni e, alzata la vela maestra al vento, si diressero verso
la spiaggia.
Ma essendo incappati in un luogo che aveva il mare dai due lati, vi fecero
arenare la nave; e mentre la prua, incagliata, rimaneva immobile, la poppa
si sfasciava per la violenza delle onde.
Il parere dei soldati era di uccidere i prigionieri, perché nessuno fuggisse
a nuoto.
Ma il centurione, volendo salvare Paolo, li distolse da quel proposito, e
ordinò che per primi si gettassero in mare quelli che sapevano nuotare, per
giungere a terra, e gli altri, chi sopra tavole, e chi su rottami della
nave.
E così avvenne che tutti giunsero salvi a terra.
***
Quando fu deciso che noi salpassimo per l'Italia, Paolo con altri
prigionieri furono consegnati a un centurione, di nome Giulio, della coorte
Augusta.
La decisione “formale” sarà stata di Festo… ma nella realtà il tempo e il
modo fu deciso dal Signore della storia che aveva in mente il Suo piano… il
Suo viaggio… la Sua Volontà!
***
Saliti sopra una nave di Adramitto, che doveva toccare i porti della costa
d'Asia, salpammo, avendo con noi Aristarco, un macedone di Tessalonica.
…Adramitto
era una città sulla costa della Misia posta di fronte a Lesbo.
…Aristarco
è un fratello
di Tessalonica che faceva
parte dei sette compagni di viaggio dell’apostolo dalla Grecia a
Gerusalemme:
Lo accompagnarono Sòpatro di Berea, figlio di Pirro,
Aristarco e Secondo
di Tessalonica, Gaio di Derba,
Timoteo e, della provincia d'Asia, Tichico e Trofimo.
Questi andarono avanti e ci aspettarono a Troas.
(Atti 20:4-5)
ì
Fu inoltre coinvolto nel tumulto di Efeso:
E tutta la città fu piena di confusione; e trascinando con sé a forza Gaio e
Aristarco, macedoni,
compagni di viaggio di Paolo, si
precipitarono tutti d'accordo verso il teatro.
(Atti 19:29)
Di lui, Paolo parlerà nelle lettere dei colossesi ed a Filemone:
Vi salutano Aristarco, mio
compagno di prigionia…
(Colossesi 4:10)
Epafra, mio compagno di prigionia in Cristo Gesù, ti saluta.
Così pure Marco, Aristarco,
Dema, Luca, miei collaboratori.
(Filemone 23-24)
***
Il giorno seguente arrivammo a Sidone; e Giulio, usando benevolenza verso
Paolo, gli permise di andare dai suoi amici per ricevere le loro cure.
Evidentemente
Paolo aveva fatto anche su Giulio una buona impressione e questi gli permise
durante lo scalo a Sidone
di ricevere le cure dei suoi amici. Questi
amici erano probabilmente dei
discepoli che lo avevano visto quando passò per la Fenicia:
- Mentre andava alla conferenza di Gerusalemme:
Essi dunque, accompagnati per un tratto dalla chiesa,
attraversarono la Fenicia e la
Samaria, raccontando la conversione
degli stranieri e suscitando grande gioia in tutti i fratelli.
(Atti 15:3)
- Di ritorno dal suo terzo viaggio missionario quando era diretto a
Gerusalemme:
…approdammo a Tiro, perché qui
si doveva scaricare la nave.
Trovati i discepoli, soggiornammo là sette giorni.
Essi, mossi dallo Spirito, dicevano a Paolo di non metter piede a
Gerusalemme; quando però fummo al termine di quei giorni, partimmo per
continuare il viaggio, accompagnati da tutti loro, con le mogli e i figli,
sin fuori dalla città; dopo esserci inginocchiati sulla spiaggia, pregammo e
ci dicemmo addio; poi salimmo sulla nave, e quelli se ne tornarono alle loro
case.
(Atti 21:3-6)
Paolo era un apostolo in via per un viaggio lontano (da prigioniero) ed
aveva bisogno di molte cose.
***
Poi, partiti di là, navigammo al riparo di Cipro, perché i venti erano
contrari.
E, attraversato il mare di Cilicia e di Panfilia, arrivammo a Mira di Licia.
Il centurione, trovata qui una nave alessandrina che faceva vela per
l'Italia, ci fece salire su quella.
Navigando per molti giorni lentamente, giungemmo a fatica, per l'impedimento
del vento, di fronte a Cnido.
Poi veleggiammo sotto Creta, al largo di Salmone; e, costeggiandola con difficoltà, giungemmo a un luogo detto Beiporti, vicino al quale era la città di Lasea.
…navigammo al riparo di Cipro…
Paolo passa davanti a Cipro… chissà quali erano i suoi pensieri davanti al
primo luogo dove aveva raccolto,
insieme a Barnaba, i primi frutti dei suoi lavori (cfr Atti 13:4-13)!
…una nave alessandrina che faceva vela per l'Italia…
Il centurione, custode dei prigionieri ed “organizzatore” del viaggio, trova
la possibilità di imbarcarsi in una nave “alessandrina”,
ovvero una di quelle navi mercantili, che portavano in Italia il grano
d'Egitto, era quindi carica di grano (cfr Atti 27:38) e con più di 276
uomini a bordo.
Erano navi grandi, sicure per l’epoca, che facevano regolarmente la
traversata.
Nonostante la stazza notevole della nave, il viaggio risulta difficoltoso a
causa del vento… difficoltà… che risulterà utile alla testimonianza!
***
Intanto era trascorso molto tempo, e la navigazione si era fatta pericolosa,
poiché anche il giorno del digiuno era passato.
Paolo allora li ammonì dicendo: «Uomini, vedo che la navigazione si farà
pericolosa con grave danno, non solo del carico e della nave, ma anche delle
nostre persone».
Il centurione però aveva più fiducia nel pilota e nel padrone della nave che
non nelle parole di Paolo.
E, siccome quel porto non era adatto a svernare, la maggioranza fu del
parere di partire di là per cercare di arrivare a Fenice, un porto di Creta
esposto a sud-ovest e a nord-ovest, e di passarvi l'inverno.
Intanto si era alzato un leggero scirocco e, credendo di poter attuare il
loro proposito, levarono le ancore e si misero a costeggiare l'isola di
Creta più da vicino.
La navigazione si fa pericolosa a causa del vento e delle intemperie
dell’autunno inoltrato.
Lo Spirito Santo ispira qui Paolo nel dare delle istruzioni circa il
prosieguo del viaggio:
Uomini, vedo che la navigazione si farà pericolosa con grave danno, non solo
del carico e della nave, ma anche delle nostre persone.
Il centurione deve prendere una decisione:
- Da un lato c’è un prigioniero, un uomo saggio, che egli ha in qualche modo
potuto constatare la fedeltà;
- Da un altro lato c’è una nave
sicura… un esperto
pilota… un esperto
padrone della nave… c’è
il parere dei più!
La sua scelta va a favore dell’esperienza… e sembra essere stata la scelta
giusta,
si era alzato un leggero scirocco e,
credendo di poter attuare il loro proposito… tutto sembra dare
ragione all’esperienza… forse quello strano prigioniero è solo un
visionario religioso… d’altronde si trova in quello stato proprio per
accuse concernenti il suo “fanatismo”.
Questi "lupi di mare" avranno sorriso di compassione, probabilmente, a
sentirsi dare dei consigli, da questo carcerato, che non sapeva far altro
che delle prediche.
***
Ma poco dopo si scatenò giù dall'isola un vento impetuoso, chiamato
Euroaquilone; la nave fu trascinata via e, non potendo resistere al vento,
la lasciammo andare ed eravamo portati alla deriva.
Cambia il vento… lo scirocco che sembrava incoraggiare la navigazione
cambia… le cose previste dall’apostolo Paolo cominciano a rivelarsi in modo
inaspettato…
un
vento impetuoso trascina via la nave… senza più alcun controllo!
E’ proprio così che accade quando non ascoltiamo la parola di Dio e ci
fidiamo della nostra esperienza… alla fine perdiamo il controllo della
situazione a siamo in balia del vento… che
ci porta alla deriva!
***
Passati rapidamente sotto un'isoletta chiamata Clauda, a stento potemmo
impadronirci della scialuppa.
Dopo averla issata a bordo, utilizzavano dei mezzi di rinforzo, cingendo la
nave di sotto; e, temendo di finire incagliati nelle Sirti, calarono
l'àncora galleggiante, e si andava così alla deriva. Siccome eravamo
sbattuti violentemente dalla tempesta, il giorno dopo cominciarono a gettare
il carico.
Il terzo giorno, con le loro proprie mani, buttarono in mare l'attrezzatura
della nave.
Già da molti giorni non si vedevano né sole né stelle, e sopra di noi
infuriava una forte tempesta, sicché ogni speranza di scampare era ormai
persa.
L’isola di Clauda,
corrisponde alla moderna Gozzo, che è a 40 Km a sud-ovest di Creta.
La
scialuppa
(che solitamente veniva
“trainata”)
viene a stento caricata sulla
nave.
…utilizzavano dei mezzi di rinforzo, cingendo la nave di sotto…
I marinai usano tutta la loro esperienza per reggere il vento…
legano con funi la nave in modo che le assi non si aprano… e legano
completamente lo scafo della nave, per evitare le falle tra le assi.
…temendo di finire incagliati nelle Sirti, calarono l'àncora galleggiante…
Le
sirti,
si trovano al largo della Libia e sono delle secche che avrebbero fatto
arenare la nave, per destinarla ad un naufragio senza possibilità di alcun
soccorso, calano quindi
l'àncora galleggiante
(probabilmente un’ancora per basse profondità) e alleggeriscono in ogni modo
la nave.
***
Dopo che furono rimasti per lungo tempo senza mangiare, Paolo si alzò in
mezzo a loro, e disse: «Uomini, bisognava darmi ascolto e non partire da
Creta, per evitare questo pericolo e questa perdita.
Ora però vi esorto a stare di buon animo, perché non vi sarà perdita della
vita per nessuno di voi ma solo della nave.
Poiché un angelo del Dio al quale appartengo, e che io servo, mi è apparso
questa notte, dicendo: "Paolo, non temere; bisogna che tu compaia davanti a
Cesare, ed ecco, Dio ti ha dato tutti quelli che navigano con te".
Perciò, uomini, state di buon animo, perché ho fede in Dio che avverrà come
mi è stato detto. Dovremo però essere gettati sopra un'isola».
Paolo mette in evidenza prima di tutto la loro poca attenzione data alle sue
parole, non per orgoglio o presunzione, ma perché le sue parole sono parole
di un figlio di Dio, di un figlio che
serve Dio, che gli è
sottomesso ed al quale Dio parla per mezzo dello Spirito Santo.
Le parole di un figlio di Dio, che
serve Dio ed al quale egli è
sottomesso, sono parole potenti.
Queste parole, piene di fede, sono dette da Paolo in un momento terribile:
-
Gli uomini della nave hanno perso ogni speranza nelle loro capacità.
-
Le condizioni atmosferiche non lasciano spazio ad illusioni di salvezza.
-
Le attrezzature della nave sono ormai perse.
-
La nave stessa, ormai logorata dalla tempesta, sembra destinata
all’affondamento.
-
La vita di tutto l’equipaggio è seriamente minacciato di morire tra le onde
minacciose del mare in tempesta.
Paolo si dichiara servitore
di un Dio che ha come esclusiva “la
profezia”… e questo
Dio al quale Paolo dichiara di
appartenere… gli ha mandato
un angelo per fargli avere la
rivelazione di cosa succederà… per dimostrare la potenza di Dio!
Paolo descrive quindi il modo in cui avverrà il naufragio e il suo lieto
fine, e la motivazione della sua determinazione:
Perciò, uomini, state di buon animo,
perché ho fede in Dio che avverrà come mi è stato detto. Dovremo però
essere gettati sopra un'isola».
Ho fede in Dio che avverrà come mi è stato detto!
Che frase! Che prova di forza! Che coraggio!
Per la fede, Paolo diventa capitano
e pilota della nave.
***
E la quattordicesima notte da che eravamo portati qua e là per l'Adriatico,
verso la mezzanotte, i marinai sospettavano di essere vicini a terra; e,
calato lo scandaglio, trovarono venti braccia; poi, passati un po' oltre e
scandagliato di nuovo, trovarono quindici braccia.
Temendo allora di urtare contro gli scogli, gettarono da poppa quattro
ancore, aspettando con ansia che si facesse giorno.
Ma siccome i marinai cercavano di fuggire dalla nave, e già stavano calando
la scialuppa in mare con il pretesto di voler gettare le ancore da prua,
Paolo disse al centurione e ai soldati: «Se costoro non rimangono sulla
nave, voi non potete scampare».
Allora i soldati tagliarono le funi della scialuppa, e la lasciarono cadere.
Passano i giorni e le parole di Paolo non sembrano avverarsi.
La situazione non cambia, l’effetto delle parole piene di potenza e
convinzione di Paolo, sembrano nuovamente non essere ascoltate
dall’equipaggio della nave.
Dopo quattordici giorni di lotta con gli elementi della natura essi
erano all'estremo delle forze e delle
possibilità fisiche.
Erano inoltre all’estremo delle forze
psicologiche, presi da uno
sconforto tale che ormai ognuno pensava alla sua pelle, i marinai cercavano
di scappare con l’unica scialuppa a disposizione, lasciando così la nave e
l’equipaggio al suo destino.
Solo l’intervento suggerito da Paolo, di tagliare le funi e lasciare cadere
la scialuppa in mare evita la fuga dei marinai.
Paolo sapeva che i marinai facevano parte di tutti coloro che il Signore
voleva salvare con lui, questo gesto, apparentemente di ostilità nei loro
confronti, Paolo lo compie per dimostrare anche a loro la potenza di Dio!
Ora non c’è più possibilità di salvezza “umana” per nessuno, la salvezza
dell’equipaggio della nave, dipende solo dall’intervento di Dio!
Questa esperienza ci insegna che non è vero che
il credente navighi sempre in “acque calme”; anche egli si può
trovare (per cause diverse) sorpreso dalle bufere della vita; ma mentre
tutti gli altri in mezzo alla tempesta si disperano egli alza lo sguardo e
spera in quel Padre Onnipotente, che ha sotto controllo qualsiasi
situazione.
***
Finché non si fece giorno, Paolo esortava tutti a prendere cibo, dicendo:
«Oggi sono quattordici giorni che state aspettando, sempre digiuni, senza
prendere nulla.
Perciò, vi esorto a prendere cibo, perché questo contribuirà alla vostra
salvezza; e neppure un capello del vostro capo perirà».
Detto questo, prese del pane e rese grazie a Dio in presenza di tutti; poi
lo spezzò e cominciò a mangiare.
E tutti, incoraggiati, presero anch'essi del cibo.
Sulla nave eravamo duecentosettantasei persone in tutto.
E, dopo essersi saziati, alleggerirono la nave, gettando il frumento in
mare.
Paolo a questo punto, deve dare un esempio di fede, innanzitutto li esorta a
prender cibo.
Questo prendere cibo, in quella specifica circostanza significava stare
sereni, fiduciosi nell’attesa dell’intervento di Dio.
Nessuno avrebbe avuto il coraggio di dire una cosa simile in una situazione
così critica, ma Paolo poteva dire: «Io
ho fede in Dio» e in virtù di quella fede, sapeva che non sarebbe
successo nulla di male né a lui né agli altri.
Paolo non si ferma ad esortare gli altri, egli stesso, dopo aver esortato i
presenti a prender cibo, dà loro l'esempio.
È facile raccomandare, esortare, ma non è sempre facile dare l'esempio,
particolarmente in situazioni difficili.
E’ notte fonda (similitudine di tenebre totali), con tutte le insidie che si
possono provare in una notte senza stelle, siamo in mezzo al mare e nel
pieno di una tempesta, Paolo conosce molto bene il Salmo 23:
Quand'anche camminassi nella valle dell'ombra della morte, io non temerei
alcun male, perché tu sei con me…
(Salmo 23:4)
Stabile come su una roccia e pieno di fede, Paolo cosa propone?
Propone un gesto di testimonianza della sua fede in Gesù Cristo, e per
dimostrare questa sua fede propone di mangiare e fortificarsi in vista della
liberazione imminente.
La cosa è ancora più stupefacente, in quanto egli
rende grazie a Dio in presenza di
tutti!
Rende grazie a Dio in presenza anche di quei marinai che volevano scappare!
(chissà cosa pensavano di Paolo!)
Paolo ringrazia Dio!
Si può ringraziare Dio durante una tempesta?
Si tende a ringraziarLo sempre dopo la tempesta, per il pericolo scampato…
…ma Paolo ringrazia Dio durante la tempesta.
Paolo ha sicuramente imparato questo gesto dal suo Maestro, il Signore Gesù,
quando, davanti alla tomba di Lazzaro, immediatamente prima di operare il
miracolo della risurrezione esclama in preghiera:
Gesù, alzati gli occhi al cielo, disse: «Padre,
ti ringrazio perché mi hai esaudito.
Io sapevo bene che tu mi esaudisci sempre; ma ho detto questo a motivo della
folla che mi circonda, affinché credano che tu mi hai mandato».
(Giovanni 11:41-42)
Paolo aveva precedentemente scritto ai tessalonicesi:
“Siate sempre gioiosi; non cessate mai di pregare; in ogni cosa rendete grazie,
perché questa è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi.”
(1 Tessalonicesi 5:16-18)
Paolo è coerente con i suoi insegnamenti!
Spesso anche noi siamo capaci di grandi consolazioni con parole, ma siamo
altrettanto coerenti quando ci troviamo nella tempesta?
Poi prese il pane e rese grazie in
presenza di tutti
Questo non era il momento di ringraziare nella sua cameretta.
Questo è il momento di fare vedere
la potenza della fede!
Ci sono momenti nei quali le persone
devono «vedere» il nostro atteggiamento di figli di Dio!
Poi …cominciò
a mangiare… mette in pratica quello che aveva detto.
L’effetto della testimonianza di Paolo fu quello di portare un
incoraggiamento a tutto equipaggio che Dio gli aveva preparato:
E tutti, incoraggiati, presero anch'essi del cibo.
Sulla nave eravamo duecentosettantasei persone in tutto.
Non solo, dopo essersi saziati gettano in mare il frumento, segno che ormai
confidavano nell’intervento divino, la loro speranza era diventata molto
simile a quella di Paolo:
E, dopo essersi saziati, alleggerirono la nave, gettando il frumento in
mare.
***
Quando fu giorno, non riuscivamo a riconoscere il paese; ma scorsero
un'insenatura con spiaggia, e decisero, se possibile, di spingervi la nave.
Staccate le ancore, le lasciarono andare in mare; sciolsero al tempo stesso
i legami dei timoni e, alzata la vela maestra al vento, si diressero verso
la spiaggia.
Ma essendo incappati in un luogo che aveva il mare dai due lati, vi fecero
arenare la nave; e mentre la prua, incagliata, rimaneva immobile, la poppa
si sfasciava per la violenza delle onde.
Il parere dei soldati era di uccidere i prigionieri, perché nessuno fuggisse
a nuoto.
Ma il centurione, volendo salvare Paolo, li distolse da quel proposito, e
ordinò che per primi si gettassero in mare quelli che sapevano nuotare, per
giungere a terra, e gli altri, chi sopra tavole, e chi su rottami della
nave.
E così avvenne che tutti giunsero salvi a terra.
Arriva il giorno, i marinai “vedono” un’insenatura, la nave sta per
sfasciarsi (secondo le parole profetiche di Paolo), la salvezza sembra ora
più vicina, davanti alla soluzione “umana”, c’è ancora chi pensa di
risolvere le problematiche umane:
Il parere dei soldati era di uccidere i prigionieri, perché nessuno fuggisse
a nuoto
Ma anche questa volta c’è un centurione… … troviamo spesso i centurioni
nella Parola di Dio:
- C’è il centurione che riconosce in Gesù l’autorità divina (Luca 7:1-10)
- C’è il centurione che riconosce in Gesù il Figlio di Dio (Luca 23:47)
- C’è il centurione Cornelio che riceve per primo il vangelo in Samaria
(Atti 10)
- C’è ora questo centurione che riconosce in Paolo un servo del
Signore
Si direbbe una categoria di persone propense a ricevere il vangelo!
Questo centurione, ha riconosciuto in Paolo un vero servo di Dio, ha
riconosciuto nel Dio che predicava Paolo il vero Dio che conduce le cose e
controlla ogni cosa, a questo Dio e al Suo servo egli si sottomette e la sua
prima preoccupazione era salvare la vita di Paolo:
Ma il centurione, volendo salvar
Paolo, li distolse da quel proposito, e
ordinò che per primi si gettassero
in mare quelli che sapevano nuotare, per giungere a terra, e gli altri, chi
sopra tavole, e chi su rottami della nave.
E così avvenne che tutti giunsero salvi a terra.
Come aveva rivelato Paolo, per mezzo dello Spirito Santo, la nave andò
perduta, arrivarono su di un’isola (l’isola di Malta) e tutti si salvarono.
***
RIFLESSIONE
Questo naufragio non è il primo che Paolo supera e non è nemmeno uno dei più
drammatici, nella seconda lettera ai corinzi aveva così dichiarato:
Spesso sono stato in pericolo di morte.
Dai Giudei cinque volte ho ricevuto quaranta colpi meno uno; tre volte sono
stato battuto con le verghe; una volta sono stato lapidato;
tre volte ho fatto naufragio; ho
passato un giorno e una notte negli abissi marini.
(2 Corinzi 11:23-25)
Quindi quando Paolo parla di naufragio… sa di cosa parla… conosce le
angosce di chi viene sbattuto dalle onde di un mare in tempesta… profondo… e sa come l’uomo è in completa balia del vento e di come la sua vita sia
veramente in bilico in quei casi… sa anche cosa vuole dire perdere tutto il
carico… la disperazione dei padroni della nave… dei piloti… dei
proprietari del carico… dovremmo quindi dare pieno credito alle parole da
lui scritte, verso la fine dei suoi giorni, nella prima lettera a Timoteo:
Ti affido questo incarico,
Timoteo, figlio mio, in armonia con le profezie che sono state in precedenza
fatte a tuo riguardo, perché tu combatta in virtù di esse la buona
battaglia, conservando la fede e una
buona coscienza; alla quale alcuni hanno rinunciato, e così, hanno fatto
naufragio quanto alla fede.
(1 Timoteo 1:18-19)
Paolo affida a Timoteo
un incarico (il
carico della nave)…
…Timoteo per giungere al porto con il carico deve attraversare il mare
conservando la fede e una buona
coscienza:
-
conservare la fede, vuole
dire proprio credere alle parole di
Dio, proprio come dimostrò di crederci Paolo e non come fece il
centurione o gli altri membri dell’equipaggio “appoggiandosi alla propria
esperienza” o “confidando nella stazza della nave”.
-
conservare una buona coscienza
vuole dire essere coerenti tra
quello che si dice di essere e quello che si fa… …avendo fede in Dio… …di
conseguenza faccio quello che Lui dice…
Paolo, esortando i fratelli di Efeso a “camminare
nell’Unità in modo degno della vocazione rivolta”, descrive loro come il
Signore ha preparato i suoi figli, ciascuno con il suo incarico, per la sana
crescita della Chiesa, del corpo di Cristo, dell’edificio spirituale quale è
il Tempio di Dio, e descrive la situazione precedente a questo stato di
cose, con una espressione particolare:
È lui che ha dato alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come
evangelisti, altri come pastori e dottori, per il perfezionamento dei santi
in vista dell'opera del ministero e dell'edificazione del corpo di Cristo,
fino a che tutti giungiamo all'unità della fede e della piena conoscenza del
Figlio di Dio, allo stato di uomini fatti, all'altezza della statura
perfetta di Cristo; affinché non
siamo più come bambini sballottati e portati qua e là da ogni vento di
dottrina per la frode degli uomini, per l'astuzia loro nelle arti seduttrici
dell'errore; ma, seguendo la verità nell'amore, cresciamo in ogni cosa verso
colui che è il capo, cioè Cristo.
(Efesini 4:11-15)
Non attraversare il mare della nostra vita
conservando la fede ed una buona
coscienza, significa imbattersi nella tempesta… …subirne tutti gli
effetti devastanti, ed essere portati qua e là dai “venti”
di cui parla Giuda:
Essi sono delle macchie
nelle vostre agapi quando banchettano con voi senza ritegno, pascendo se
stessi; nuvole senza acqua, portate
qua e là dai venti; alberi d'autunno senza frutti, due volte morti,
sradicati; onde furiose del mare, schiumanti la loro bruttura; stelle
erranti, a cui è riservata l'oscurità delle tenebre in eterno.
(Giuda 12-13)
Ma Paolo, esorta Timoteo a restare saldo nella Parola di Dio ed essere un
Suo fedele servitore, un esempio di fede, proprio come lui lo fu su quella
nave, davanti a tutti… …e forse proprio pensando alla sua testimonianza in
quell’occasione (mangiando in
mezzo alla tempesta ed alla disperazione) scrive ancora queste parole:
Esponendo queste cose ai fratelli, tu sarai un buon servitore di Cristo
Gesù, nutrito
con le parole della fede e della
buona dottrina che hai imparata.
(1 Timoteo 4:6)