La pazienza di Dio

 

 

 

Il Signore non ritarda l'adempimento della sua promessa, come pretendono alcuni; ma è paziente verso di voi, non volendo che qualcuno perisca, ma che tutti giungano al ravvedimento. (2 Pietro 3:9)

 

La parola pazienza ha origine dal latino volgare patire (cfr. il greco pathein e pathos, dolore corporale e spirituale).

La pazienza è la facoltà di rimandare la propria reazione alle avversità, mantenendo nei confronti dello stimolo un atteggiamento neutro.

La pazienza è una qualità e un atteggiamento interiore proprio di chi accetta il dolore, le difficoltà, le avversità, le molestie, le controversie, la morte, con animo sereno e con tranquillità, controllando la propria emotività e perseverando nelle azioni.

È la necessaria calma, costanza, assiduità, applicazione senza sosta nel fare un'opera o una qualsiasi impresa.

Nel diritto la pazienza è la limitazione dell'esercizio di un diritto (la pazienza di servitù, ad esempio, è la negazione di un transito di servitù). (tratto da Wikipedia)

 

La pazienza come definita dalla Scrittura è quella caratteristica che si manifesta nel:

- saper soffrire nelle avversità, nella persecuzione, nell’ostinatezza altrui, nelle molestie subite;

- saper rinunciare a qualsiasi rivalsa, sapendo che giungerà il giusto giudizio e la giusta ricompensa a suo tempo;

- saper rinunciare ai nostri eventuali diritti in vista di un fine superiore.

La pazienza è una delle caratteristiche dell’espressione più alta dell’amore di Dio:

L'amore è paziente, è benevolo; l'amore non invidia; l'amore non si vanta, non si gonfia,

(1 Corinzi 13:4)

***

 

La pazienza è quella virtù che ci rende capaci di saper soffrire nelle avversità, nella persecuzione, nell’ostinatezza altrui, nelle molestie subite.

 

La Pazienza nelle afflizioni è una caratteristica peculiare di Dio che Gesù Cristo ha egregiamente mostrato, esercitato ed insegnato.

Il profeta Isaia, “vedendolo” profeticamente lo ha così descritto:

Egli è cresciuto davanti a lui come una pianticella, come una radice che esce da un arido suolo; non aveva forma né bellezza da attirare i nostri sguardi, né aspetto tale da piacerci.

Disprezzato e abbandonato dagli uomini, uomo di dolore, familiare con la sofferenza, pari a colui davanti al quale ciascuno si nasconde la faccia, era spregiato, e noi non ne facemmo stima alcuna.

Tuttavia erano le nostre malattie che egli portava, erano i nostri dolori quelli di cui si era caricato; ma noi lo ritenevamo colpito, percosso da Dio e umiliato!

Egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni, stroncato a causa delle nostre iniquità; il castigo, per cui abbiamo pace, è caduto su di lui e mediante le sue lividure noi siamo stati guariti.

Noi tutti eravamo smarriti come pecore, ognuno di noi seguiva la propria via; ma il SIGNORE ha fatto ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti.

Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la bocca.

Come l'agnello condotto al mattatoio, come la pecora muta davanti a chi la tosa, egli non aprì la bocca.

Dopo l'arresto e la condanna fu tolto di mezzo; e tra quelli della sua generazione chi rifletté che egli era strappato dalla terra dei viventi e colpito a causa dei peccati del mio popolo?

Gli avevano assegnato la sepoltura fra gli empi, ma nella sua morte, egli è stato con il ricco, perché non aveva commesso violenze né c'era stato inganno nella sua bocca.
Ma il SIGNORE ha voluto stroncarlo con i patimenti.

Dopo aver dato la sua vita in sacrificio per il peccato, egli vedrà una discendenza, prolungherà i suoi giorni, e l'opera del SIGNORE prospererà nelle sue mani.

Dopo il tormento dell'anima sua vedrà la luce e sarà soddisfatto; per la sua conoscenza, il mio servo, il giusto, renderà giusti i molti, si caricherà egli stesso delle loro iniquità.

Perciò io gli darò in premio le moltitudini, egli dividerà il bottino con i molti, perché ha dato se stesso alla morte ed è stato contato fra i malfattori; perché egli ha portato i peccati di molti e ha interceduto per i colpevoli. (Isaia 53:2-12)

 

Il tema della sofferenza è un tema che ogni uomo tende a fuggire, soprattutto nella nostra cultura odierna, eppure la Parola di Dio non ha mai tenuto nascosta la sua necessarietà, la sua efficacia, la sua indispensabilità ed utilità.

Giacomo nella sua lettera ce ne parla come oggetto di gioia, e ci porta come esempio i profeti ed i grandi uomini di Dio dell’antico Patto:

Prendete, fratelli, come modello di sopportazione e di pazienza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore.

Ecco, noi definiamo felici quelli che hanno sofferto pazientemente.

Avete udito parlare della costanza di Giobbe, e conoscete la sorte finale che gli riserbò il Signore, perché il Signore è pieno di compassione e misericordioso. (Giacomo 5:10-11)

 

Giacomo ci lascia un solenne modello di pazienza, Giobbe, un uomo come noi, che nella sua integrità fu perseguitato da satana per portarlo a rinnegare Dio.

L’avversario di Dio, lo tentò sostanzialmente su due fronti:

- i suoi affetti e le sue ricchezze

- la sua persona fisica

 

Davanti a queste prove fisiche, egli dovette pure sopportare gli attacchi della mente da parte di tre suoi amici che insinuavano ingiustamente la integrità di Giobbe riconosciuta da Dio e proprio motivo scatenante della persecuzione di satana.

Sicuramente Giobbe non poteva leggere quanto scriverà Paolo a Timoteo molti secoli dopo, ma sperimentò di persona la verità di tali parole:  Del resto, tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati. (2 Timoteo 3:12)

 

Pertanto dobbiamo farcene una ragione, se scegliamo di seguire Cristo, se lo vogliamo servire fedelmente, se vogliamo vivere nel timore di Dio… saremo perseguitati.

Se realizziamo di essere oggetto di persecuzione, se ci accingiamo a seguire il Signore nel modo santo, è bene che ci prepariamo ad esercitare la Pazienza di Dio per non trovarci travolti dai nostri istinti e sconvolti dalle nostre stesse reazioni carnali!

 

Un detto mondano dice che “la pazienza è la virtù dei forti”, e questo frutto di saggezza popolare non è molto lontano dalla realtà.

Questo detto fa eco ad un più nobile proverbio biblico:

Se ti scoraggi nel giorno dell'avversità, la tua forza è poca. (Proverbi 24:10)

 

Come abbiamo già visto in un sermone precedente (le virtù cristiane), la pazienza è una delle virtù cristiane e viene dopo la fede, la virtù (l’impegno, lo zelo), la conoscenza e l’autocontrollo (cfr 2 Pietro 1:5-6).

Per essere quindi preparati (o fortificati) alla pazienza dobbiamo quindi equipaggiarci di queste virtù che la precedono (innanzitutto la fede, poi lo zelo, la conoscenza e l’autocontrollo).

Sviluppare queste virtù significa diventare forti!

E’ in questo senso che Paolo scrive ai fratelli di Colosse:

Perciò anche noi, dal giorno che abbiamo saputo questo, non cessiamo di pregare per voi e di domandare che siate ricolmi della profonda conoscenza della volontà di Dio con ogni sapienza e intelligenza spirituale, perché camminiate in modo degno del Signore per piacergli in ogni cosa, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio; fortificati in ogni cosa dalla sua gloriosa potenza, per essere sempre pazienti e perseveranti; ringraziando con gioia il Padre che vi ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. (Colossesi 1:9-12)

 

Geremia, uno dei profeti più ferocemente perseguitati dal suo stesso popolo, durante l’antico patto, dichiarava:

SIGNORE, mia forza, mia fortezza e mio rifugio nel giorno dell'avversità!

(Geremia 16:19)

 

Nella potenza del Signore, che per mezzo della fede abbiamo accesso, troviamo tutte le risorse per diventare forti, per acquisire quelle doti spirituali che Egli ci ha donato per mezzo dello Spirito Santo, affinchè possiamo anche noi “fortificarci” in Lui ed affrontare con fiducia quella tribolazione che fa parte del nostro cammino e che, se vogliamo vivere in Cristo, non possiamo in nessun modo evitare.

Non solo, l’apostolo Paolo parla ai corinzi anche dell’effetto “educativo” del nostro esercizio della pazienza, egli descrive loro come l’esercizio della pazienza verso le persecuzioni diventi una “consolazione” per se stessi e per i nostri stessi fratelli che vedono il nostro “esempio”:

Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, il Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra afflizione, affinché, mediante la consolazione con la quale siamo noi stessi da Dio consolati, possiamo consolare quelli che si trovano in qualunque afflizione; perché, come abbondano in noi le sofferenze di Cristo, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione.

Perciò se siamo afflitti, è per la vostra consolazione e salvezza; se siamo consolati, è per la vostra consolazione, la quale opera efficacemente nel farvi capaci di sopportare le stesse sofferenze che anche noi sopportiamo.

La nostra speranza nei vostri riguardi è salda, sapendo che, come siete partecipi delle sofferenze, siete anche partecipi della consolazione. (2 Corinzi 1:3-7)

 

E l’esempio più sublime lo troviamo nella persona di Gesù Cristo:

Anche noi, dunque, poiché siamo circondati da una così grande schiera di testimoni, deponiamo ogni peso e il peccato che così facilmente ci avvolge, e corriamo con perseveranza la gara che ci è proposta, fissando lo sguardo su Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta.

Per la gioia che gli era posta dinanzi egli sopportò la croce, disprezzando l'infamia, e si è seduto alla destra del trono di Dio.

Considerate perciò colui che ha sopportato una simile ostilità contro la sua persona da parte dei peccatori, affinché non vi stanchiate perdendovi d'animo. (Ebrei 12:1-3)

 

Facendo comunque riferimento a quanto ci promette il Signore per bocca di Paolo:

Nessuna tentazione vi ha còlti, che non sia stata umana; però Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze; ma con la tentazione vi darà anche la via di uscirne, affinché la possiate sopportare. (1 Corinzi 10:13)

E’ quindi la Volontà del nostro Dio, Signore e Salvatore che noi sviluppiamo la pazienza, questa virtù che ci rende sempre più completi nella nostra salvezza.

Attraverso questo “imparare a saper soffrire nelle avversità, nella persecuzione, nell’ostinatezza altrui, nelle molestie subite”, noi compiamo la nostra salvezza.

 

Paolo scriveva così ai fratelli di Filippi:

Così, miei cari, voi che foste sempre ubbidienti, non solo come quand'ero presente, ma molto più adesso che sono assente, adoperatevi al compimento della vostra salvezza con timore e tremore; infatti è Dio che produce in voi il volere e l'agire, secondo il suo disegno benevolo.

Fate ogni cosa senza mormorii e senza dispute, perché siate irreprensibili e integri, figli di Dio senza biasimo in mezzo a una generazione storta e perversa, nella quale risplendete come astri nel mondo, tenendo alta la parola di vita, in modo che nel giorno di Cristo io possa vantarmi di non aver corso invano, né invano faticato.

Ma se anche vengo offerto in libazione sul sacrificio e sul servizio della vostra fede, ne gioisco e me ne rallegro con tutti voi; e nello stesso modo gioitene anche voi e rallegratevene con me.  (Filippesi 2:12)

 

***

 

La Pazienza è quella virtù che ci rende capaci di saper rinunciare a qualsiasi rivalsa, in vista di un “disegno” più nobile e sapendo che giungerà il giusto giudizio e la giusta ricompensa a suo tempo.

 

La Pazienza è una caratteristica peculiare di Dio che Gesù Cristo ha egregiamente mostrato, esercitato ed insegnato.

Il profeta Isaia, “vedendolo” profeticamente lo ha così descritto:

Egli è cresciuto davanti a lui come una pianticella, come una radice che esce da un arido suolo; non aveva forma né bellezza da attirare i nostri sguardi, né aspetto tale da piacerci.

Disprezzato e abbandonato dagli uomini, uomo di dolore, familiare con la sofferenza, pari a colui davanti al quale ciascuno si nasconde la faccia, era spregiato, e noi non ne facemmo stima alcuna.

Tuttavia erano le nostre malattie che egli portava, erano i nostri dolori quelli di cui si era caricato; ma noi lo ritenevamo colpito, percosso da Dio e umiliato!

Egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni, stroncato a causa delle nostre iniquità; il castigo, per cui abbiamo pace, è caduto su di lui e mediante le sue lividure noi siamo stati guariti.

Noi tutti eravamo smarriti come pecore, ognuno di noi seguiva la propria via; ma il SIGNORE ha fatto ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti.

Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la bocca.

Come l'agnello condotto al mattatoio, come la pecora muta davanti a chi la tosa, egli non aprì la bocca.

Dopo l'arresto e la condanna fu tolto di mezzo; e tra quelli della sua generazione chi rifletté che egli era strappato dalla terra dei viventi e colpito a causa dei peccati del mio popolo?

Gli avevano assegnato la sepoltura fra gli empi, ma nella sua morte, egli è stato con il ricco, perché non aveva commesso violenze né c'era stato inganno nella sua bocca.
Ma il SIGNORE ha voluto stroncarlo con i patimenti.

Dopo aver dato la sua vita in sacrificio per il peccato, egli vedrà una discendenza, prolungherà i suoi giorni, e l'opera del SIGNORE prospererà nelle sue mani.

Dopo il tormento dell'anima sua vedrà la luce e sarà soddisfatto; per la sua conoscenza, il mio servo, il giusto, renderà giusti i molti, si caricherà egli stesso delle loro iniquità.

Perciò io gli darò in premio le moltitudini, egli dividerà il bottino con i molti, perché ha dato se stesso alla morte ed è stato contato fra i malfattori; perché egli ha portato i peccati di molti e ha interceduto per i colpevoli. (Isaia 53:2-12)

 

Gesù ha dovuto compiere un percorso umiliante, pieno di sofferenza, intriso di persecuzioni di ogni genere, fisico, emotivo, spirituale…. …ma dopoEgli vedràEgli sarà soddisfattoEgli riceverà il premio!

I discepoli sono i testimoni oculari della glorificazione di Gesù Cristo!

Loro ce ne parlano come di un fatto avvenuto, Pietro ne parla davanti ai capi religiosi giudei:

Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù che voi uccideste appendendolo al legno e lo ha innalzato con la sua destra, costituendolo Principe e Salvatore, per dare ravvedimento a Israele, e perdono dei peccati.

Noi siamo testimoni di queste cose; e anche lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli ubbidiscono». (Atti 5:30-32)

 

Paolo ne parla ai fratelli di Filippi:

Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sotto terra, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre.

(Filippesi 2:9-11)

 

Ma proprio leggendo il contesto di questo passo di Paolo troviamo un insegnamento per noi:

Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l'essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma svuotò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. (Filippesi 2:5-8)

 Paolo sta qui dichiarando che l’esempio di Cristo è per noi!

 Non solo Egli ha compiuto una volta per sempre l’Opera redentrice, agendo secondo la Pazienza di Dio, ma questo suo sentimento è un esempio per noi, affinchè, ricevuto il Suo stesso Spirito, possiamo agire come Egli agì, possiamo camminare come Egli camminò (cfr 1 Giovanni 2:6).

 

Per questo Paolo scriveva a Timoteo circa le caratteristiche del servo del Signore:

Il servo del Signore non deve litigare, ma deve essere mite con tutti, capace di insegnare, paziente. (2 Timoteo 2:24)

 

Questa pazienza deve caratterizzarci in un mondo che vuole avere “risultati” immediati, che non ha tempo di aspettare “i tempi di Dio”, invece Giacomo ci esorta con un insegnamento semplice e chiaro:

Siate dunque pazienti, fratelli, fino alla venuta del Signore.

Osservate come l’agricoltore aspetta il frutto prezioso della terra pazientando, finchè esso abbia ricevuto la pioggia della prima e dell’ultima stagione.

Siate pazienti anche voi; fortificate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina.

(Giacomo 5:7-8)

 

E’ quindi la Volontà del nostro Dio, Signore e Salvatore che noi sviluppiamo la pazienza, questa virtù che ci rende sempre più completi nella nostra salvezza.

Attraverso questo “saper rinunciare a qualsiasi rivalsa, in vista di un “disegno” più nobile e sapendo che giungerà il giusto giudizio e la giusta ricompensa a suo tempo”, noi compiamo la nostra salvezza.

***

 

La Pazienza è quella virtù che ci rende capaci di saper rinunciare ai nostri eventuali diritti in vista di un fine superiore.

 

Nella sua lettera ai fratelli di Filippi, Paolo ci parla di una qualità di Cristo che ci fa comprendere questa altra caratteristica della pazienza:

Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l'essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma svuotò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. (Filippesi 2:5-8)

 

Questo “svuotare se stesso” o “umiliò se stesso, facendosi ubbidiente”, è una rinuncia alla propria posizione, ai propri diritti.

E’ un gesto assolutamente volontario, non imposto da nessuna regola.

Qui entriamo in un campo che solo nella Grazia di Dio possiamo comprendere, il Signore non ci chiederà mai di rinunciare ad un diritto che ci spetta… …ma in Cristo ci dà l’esempio più sublime del saper rinunciare volontariamente ai nostri diritti.

Chi prese sul serio questo esempio è proprio Paolo, che scrivendo ai fratelli di Corinto dichiara:

Non sono libero? Non sono apostolo? Non ho veduto Gesù, il nostro Signore? Non siete voi l'opera mia nel Signore?

Se per altri non sono apostolo, lo sono almeno per voi; perché il sigillo del mio apostolato siete voi, nel Signore.

Questa è la mia difesa di fronte a quelli che mi sottopongono a inchiesta.

Non abbiamo forse il diritto di mangiare e di bere?

Non abbiamo il diritto di condurre con noi una moglie, sorella in fede, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa?

O siamo soltanto io e Barnaba a non avere il diritto di non lavorare?

Chi mai fa il soldato a proprie spese? Chi pianta una vigna e non ne mangia il frutto? O chi pascola un gregge e non si ciba del latte del gregge?

Dico forse queste cose da un punto di vista umano? Non le dice anche la legge?

Difatti, nella legge di Mosè è scritto: «Non mettere la museruola al bue che trebbia il grano». Forse che Dio si dà pensiero dei buoi? O non dice così proprio per noi? Certo, per noi fu scritto così; perché chi ara deve arare con speranza e chi trebbia il grano deve trebbiarlo con la speranza di averne la sua parte.

Se abbiamo seminato per voi i beni spirituali, è forse gran cosa se mietiamo i vostri beni materiali?

Se altri hanno questo diritto su di voi, non lo abbiamo noi molto di più?

Ma non abbiamo fatto uso di questo diritto; anzi sopportiamo ogni cosa, per non creare alcun ostacolo al vangelo di Cristo. (1 Corinzi 9:1-12)

 

Ed esorta gli stessi fratelli di Corinto ad esercitare questa “pazienza” rinunciando a farsi “processi” come i pagani:       

Perché non patite piuttosto qualche torto? Perché non patite piuttosto qualche danno?

(1 Corinzi 6:7)

E sempre Paolo portò come esempio di pazienza l’esercizio di questo sentimento, anche davanti ai fratelli di Tessalonica:

Fratelli, vi ordiniamo nel nome del nostro Signore Gesù Cristo che vi ritiriate da ogni fratello che si comporta disordinatamente e non secondo l'insegnamento che avete ricevuto da noi.

Infatti voi stessi sapete come ci dovete imitare: perché non ci siamo comportati disordinatamente tra di voi; né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di nessuno, ma con fatica e con pena abbiamo lavorato notte e giorno per non essere di peso a nessuno di voi.

Non che non ne avessimo il diritto, ma abbiamo voluto darvi noi stessi come esempio, perché ci imitaste.

Infatti, quando eravamo con voi, vi comandavamo questo: che se qualcuno non vuole lavorare, neppure deve mangiare.

Difatti sentiamo che alcuni tra di voi si comportano disordinatamente, non lavorando affatto, ma affaccendandosi in cose futili.

Ordiniamo a quei tali e li esortiamo, nel Signore Gesù Cristo, a mangiare il proprio pane, lavorando tranquillamente.

Quanto a voi, fratelli, non vi stancate di fare il bene.

E se qualcuno non ubbidisce a ciò che diciamo in questa lettera, notatelo, e non abbiate relazione con lui, affinché si vergogni.

Però non consideratelo un nemico, ma ammonitelo come un fratello.

(2 Tessalonicesi 3:6-15)

 

Vi esortiamo, fratelli, ad ammonire i disordinati, a confortare gli scoraggiati, a sostenere i deboli, a essere pazienti con tutti.

(1 Tessalonicesi 5:14)

 

Sempre Paolo, insegnando ai fratelli di Corinto circa “il mangiare le carni sacrificate agli idoli”, parla proprio di un diritto di libertà, ma esorta a riflettere bene circa l’esercizio di questo diritto:

Quanto dunque al mangiare carni sacrificate agli idoli, sappiamo che l'idolo non è nulla nel mondo, e che non c'è che un Dio solo.

Poiché, sebbene vi siano cosiddetti dèi, sia in cielo sia in terra, come infatti ci sono molti dèi e signori, tuttavia per noi c'è un solo Dio, il Padre, dal quale sono tutte le cose, e noi viviamo per lui, e un solo Signore, Gesù Cristo, mediante il quale sono tutte le cose, e mediante il quale anche noi siamo.

Ma non in tutti è la conoscenza; anzi, alcuni, abituati finora all'idolo, mangiano di quella carne come se fosse una cosa sacrificata a un idolo; e la loro coscienza, essendo debole, ne è contaminata.

Ora non è un cibo che ci farà graditi a Dio; se non mangiamo, non abbiamo nulla di meno; e se mangiamo non abbiamo nulla di più.

Ma badate che questo vostro diritto non diventi un inciampo per i deboli.

Perché se qualcuno vede te, che hai conoscenza, seduto a tavola in un tempio dedicato agli idoli, la sua coscienza, se egli è debole, non sarà tentata di mangiare carni sacrificate agli idoli?

Così, per la tua conoscenza, è danneggiato il debole, il fratello per il quale Cristo è morto.

Ora, peccando in tal modo contro i fratelli, ferendo la loro coscienza che è debole, voi peccate contro Cristo.

Perciò, se un cibo scandalizza mio fratello, non mangerò mai più carne, per non scandalizzare mio fratello. (1 Corinzi 8:4-13)

 

Paolo ci parla della libertà in Cristo, ma la libertà in Cristo è una libertà completamente diversa da quella che intendiamo “carnalmente”, non è la libertà di lasciare libero sfogo alla nostra carnalità perché non siamo più “condannabili”!

Questo concetto di libertà è una libertà diabolica, influenzata da sentimenti lontani mille miglia dai sentimenti di Cristo.

La libertà in Cristo è quella libertà che “mi costringe” a causa del Suo Amore…(cfr 2 Corinzi 5:14) …che fa dire a Paolo: “guai a me se non evangelizzo” (1 Corinzi 9:16).

E’ quella libertà che ci porta a cercare non solo il nostro interesse ma anche quello degli altri (Paolo scrive questo proprio nel contesto del successivo esempio di Gesù Cristo):

Non fate nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma ciascuno, con umiltà, stimi gli altri superiori a se stesso, cercando ciascuno non il proprio interesse, ma anche quello degli altri. (Filippesi 2:3-4)

E’ quindi la Volontà del nostro Dio, Signore e Salvatore che noi sviluppiamo la pazienza, questa virtù che ci rende sempre più completi nella nostra salvezza.

Attraverso questo “saper rinunciare ai nostri eventuali diritti in vista di un fine superiore”, noi compiamo la nostra salvezza.

 

CONCLUSIONE

Essere pazienti è una virtù che ci rende capaci di saper gestire le situazioni di vita, anche quelle più complesse come la persecuzione, la tribolazione, le avversità, le molestie con saggezza, calma e l’atteggiamento costruttivo di chi è forte, sicuro, certo dell’esito finale di una situazione.

Non si tratta quindi di rassegnazione, passività o indecisione.

Questa, infatti, non è una virtù passiva che si concretizza nell’aspettare, ma piuttosto nel saper gestire molte situazioni diverse senza perdere la calma.

Una situazione gravosa può infatti essere affrontata governandola con consapevolezza oppure si può subire vivendola come una condizione senza soluzione.

Possiamo vivere quindi le persecuzioni (per ragioni di giustizia), le prove svariate in cui veniamo a trovarci con la pazienza di chi sa che la propria situazione è davanti al Signore, che controlla la prova e non permette che essa arrivi a sovrastarci, anzi la dosa perfettamente per farci crescere e compiere la nostra salvezza nel modo più perfetto.

 

***

Essere pazienti non vuol dire essere indecisi e poco coraggiosi, ma piuttosto essere forti, convinti e sicuri di avere davanti un disegno molto più nobile di quello che ci propone questa vita.

Vuole dire avere lo sguardo fissato non alle cose che si vedono ma verso l’invisibile, come dice Paolo:

…mentre abbiamo lo sguardo intento non alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono; poiché le cose che si vedono sono per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne. (2 Corinzi 4:18)

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Essere pazienti significa anche (nella espressione forse più alta) essere capaci di rinunciare ai propri diritti in favore di chi non è in grado di comprendere, saper essere forti, comprensivi e rispettosi del prossimo ancora debole nella fede.

Detta virtù, propria di chi è consapevole di avere già tutto pienamente si dimostra nel non temere di impoverirsi rinunciando a qualcosa di valore “provvisorio”.

***

Alla luce di queste riflessioni possiamo fare nostro l’esempio che Giacomo porta come esempio di pazienza:

Siate dunque pazienti, fratelli, fino alla venuta del Signore.

Osservate come l'agricoltore aspetta il frutto prezioso della terra pazientando, finché esso abbia ricevuto la pioggia della prima e dell'ultima stagione.

Siate pazienti anche voi; fortificate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina.

Fratelli, non lamentatevi gli uni degli altri, affinché non siate giudicati; ecco, il giudice è alla porta.  (Giacomo 5:7-9)

Gianni Marinuzzi